mercoledì 21 dicembre 2011

Intervallo

Arrivato il Natale, si è concluso ieri il primo trimestre dell'anno accademico. Due settimane di pausa da lezioni, prove, spettacoli e concerti. Dovrei essere sollevato: un po' di riposo e di vacanza dallo stress, dalle fatiche e dagli ostacoli che affrontiamo quotidianamente, ma così non è.
Perché quella fatica è vita e dà in cambio emozioni, crescita, coscienza di sè e del prossimo. Il resto, quello che c'è fuori, è solo una versione annacquata delle giornate che si svolgono lì dentro.

L'ultima settimana e mezza si sono svolti gli esami di tutte le materie che studiamo nel percorso, un periodo intenso (più del solito) in cui siamo messi alla prova: la tensione e la frustrazione crescono a dismisura e anche le poche certezze che uno ha sono messe in discussione.
Ricordo quando l'anno scorso, all'inizio di questo percorso, ci raccontarono che le crisi sarebbero state inevitabili e che ognuno di noi almeno una volta avrebbe pensato di abbandonare l'accademia sentendosi fuori luogo. Io avevo riso baldanzoso a questa affermazione, ma i dubbi sono arrivati anche per me, i pianti sono arrivati in abbondanza e le insicurezze sono riuscite ad aggredirmi. Studiare tre branche artistiche (recitazione, canto e danza) due delle quale mi erano pressoché sconosciute, ha portato a inevitabili dubbi e confronti coi compagni. Ma quando, anche se a parole lo ripeto dal principio, ho realizzato veramente che ognuno di noi è diverso e ha una propria personale scintilla da offrire in futuro, secondo la diversa direzione che intraprenderà, qualche dubbio scompare.
E soprattutto se mi diverto e a fine giornata i sorrisi e i respiri luminosi sono stati più delle lacrime, mi convinco di essere nel posto giusto e che non ce ne sarebbe uno più adatto a me.

lunedì 12 dicembre 2011

Gocce di sudore

Quando 8 anni fa ho cominciato il mio primo corso amatoriale di teatro, quella sera era l'appuntamento che attendevo con più impazienza.
Di anno in anno le ore dedicate al teatro sono state sempre di più: due serate a settimana, poi gli incontri aumentavano, sono arrivati gli stage nei week-end, ai quali si sono aggiunte anche le prove e gli spettacoli.
Più aumentava la mia passione per il teatro, più sentivo che i momenti di laboratorio, gli esercizi, le scene e i personaggi diventavano la mia vita "vera", mentre il mondo esterno si trasformava in un qualcosa che proseguiva davanti ai miei occhi, seguendo dei binari prestabiliti e quasi come se io non potessi parteciparvi attivamente ma solo assistere da spettatore.
Non che non mi sia goduto la vita: l'entusiasmo, le persone e le esperienze che hanno caratterizzato gli ultimi anni mi hanno fatto essere felice come non pensavo sarei mai potuto essere, ma quando mi spostavo in una sala prove, su un palcoscenico o comunque davanti a una platea, tutto si trasferiva su un altro piano d'esistenza che galleggiava al di sopra della vita "reale".

L'anno scorso ho deciso di mettermi in gioco sul serio e mi sono iscritto a un'accademia a tempo pieno, dove trascorro tutta la giornata immerso fino al collo in questo universo parallelo.
Il lavoro è più intenso di ogni cosa fatta prima di entrare lì. Gli sforzi fisici, mentali e psicologici a cui siamo sottoposti quotidianamente esercitano una tale pressione, sopportabile solo grazie alla gioia di star vivendo fino in fondo la propria passione.
I legami e le amicizie creati lì dentro sono inevitabilmente forti, dato che si passa insieme l'intera giornata e si condividono prove impegnative per le quali è naturale sostenersi a vicenda. Sembra quasi di essere in una colonia (lunga 3 anni) nella quale si condivide ogni esperienza coi propri compagni e i contatti col mondo esterno sono limitati; la convivenza forzata porta a confessarsi come non si è mai fatto prima, oltre ad affrontare tutti gli ostacoli sapendo di poter fare affidamento sulle persone care.
E, come nelle colonie o in altre esperienze simili di straniamento dalla routine, il distacco e il ritorno alla quotidianità sono molto difficili.