venerdì 27 luglio 2012

I dreamed a dream

Avevo già descritto la grandezza dello spettacolo "Les Misérables".
Ma quello era prima di andare in scena. Non ti rendi veramente conto della portata di un progetto simile, finché non lo rappresenti davanti a un pubblico. Finchè non ottieni il tutto esaurito ad ognuna delle 4 repliche. Finchè non assisti a standing ovation dell'intero teatro, qualcosa che a detta degli addetti ai lavori del Teatro Comunale, non avveniva da anni.
Essere su un palcoscenico così ampio, con così tanti compagni, con un'orchestra così ampia, con costumi, scenografie e proiezioni così maestose, con un esercito di parrucchiere, truccatrici e microfonisti così efficienti che ogni volta mi sembrava di entrare in un box da Formula 1... bè, è qualcosa che molto probabilmente non mi accadrà più.
E posso dire con un buon grado di sicurezza che un musical così, realizzato in questo modo, non si è mai visto prima e non si vedrà mai più. Io c'ero.
Credo sia il progetto teatrale più vicino alla ricchezza visiva di un film che io abbia mai visto. Ed esserci dentro, coinvolto a 360° nelle scene, senza interruzioni dopo 30 secondi, è stata davvero un'esperienza ricca. Unica e indimenticabile.

Ricorderò la carica e l'entusiasmo che mi dava lo sventolare la bandiera rossa sopra quella folla da kolossal.
Sì, nonostante i drappi che si sfilacciano e i gradini che fanno inciampare.
Ricorderò la mia disperazione ad ogni replica nel vedere le posate cadere in formazioni sempre più complicate, ma poi ogni volta mi divertivo di più.
Ricorderò i sorrisi e le minchiate dietro le quinte, che dietro un Teatro Comunale di quell dimensioni non sono meno di quelle fatte nei micro-teatrini a cui sono abituati. E le foto in costume scattate in fretta e furia rischiando di perdere il momento del proprio ingresso in scena.
Ricorderò i brividi che provavo ogni giorno, sentendo l'orchestra accordare gli strumenti.
Ricorderò il tanto spazio a disposizione dietro le quinte, che non mi sognerò mai più.
Ricorderò quei palchetti rinascimentali.
Ricorderò il poter fare ogni sera qualcosa di diverso, che tanto in mezzo a tutta quella folla nessuno può dirmi nulla.
Ricorderò lo stare in punta di piedi per tutta una canzone per farmi intravedere in ultima fila dietro un ensemble di 80 persone.
Ricorderò gli amici venuti a vedermi vestiti da elegantoni, perché ero al Comunale.


Come ogni personaggio dell'ensemble dovrebbe fare, anch'io mi ero creato la mia backstory personale.
Insignificante agli occhi del pubblico con un vissuto intenso e profondo.
Anzi, a dire la verità ne "Les Misérables" il protagonista ero io, ma in pochi se ne saranno accorti.
Jean Connòrs, nipote dell'eroe di guerra Gavroche Connòrs.
Tornato indietro nel tempo per proteggere il nonno, eroe di guerra.
Si ritrova in un camerino dove un valletto si sta cambiando, lo stordisce e prende il suo posto. Si ritrova al matrimonio di Marius e Cosette, dove capisce che sfortunatamente ha sbagliato coordinate spazio-temporali e non è andato abbastanza indietro nel tempo.
Fa un ulteriore viaggio indietro nel tempo, arrivando finalmente al momento desiderato.
Si nasconde in mezzo al popolino, in fabbrica, in un bordello, tra le strade. Ad un certo punto sta per salvare un passante finito sotto un carro sollevando il pesante mezzo, ma essendo un uomo del futuro, preferisce non attirare troppa attenzione su di sé è preferisce fare a Jean Valjean.
Si imbuca in una taverna dove si porta da bere da casa. Questo il motivo per cui sui tavoli c'erano bottiglie di vino imbottigliate dopo il 1800, non è una svista anacronistica. Figuriamoci.
Arriva poi il momento della battaglia, si infiltra in mezzo a tutti i soldati, ma la sua missione fallisce, non riesce a proteggere il suo nonno-infante. Il futuro è per sempre cambiato. Anche Jean Connòrs muore in battaglia.
Nella nuova linea temporale, Jean Connoòrs non esiste più.
Nella vecchia linea temporale, per il butterfly effect, Jean Connòrs non è più un combattente. È diventato un educatore di centri estivi che impazzisce dietro ai bambini.

mercoledì 18 luglio 2012

Raise the flag of freedom high!

Les Misèrables.
Il musical di maggior successo di sempre, in scena a Londra ininterrottamente da più di 25 anni.
Un kolossal.
Uno spettacolo importante, che per la prima volta viene rappresentato in Italia, al Comunale di Bologna.
Una realtà strana, che non immaginavo di riuscire anche solo a sfiorare.
Invece da qualche settimana sono lì dentro a provare, con davanti agli occhi una platea incantevole, facendo passeggiate dietro le enormi quinte, senza impazzire per entrare in scena o per portare oggetti attraverso stretti cunicoli, ma con tutto lo spazio a disposizione che si potrebbe sognare.
E mentre si prova, la gente si annoia, sdraiata al buio sulle tavole polverose, tra tecnici che fanno origami o leggono fumetti, mentre al di là del telo nero prende vita un'epopea francese.
In realtà all'inizio Les Misérables mi attirava solo per il nome, dato che nè la storia nè il genere musicale rientrano nei miei gusti. Quindi mi stuzzicava più il "come" che il "cosa" di questa messa in scena.

Giorno dopo giorno però lo spettacolo comincia a prendere forma attorno a me e io inizio a rendermi conto della maestosità del progetto.
Un musical in un teatro lirico.
82 performers in scena.
Un'orchestra sinfonica di 53 elementi.
Più di 150 costumi.
Scenografie di 15 metri.
Un esercito di tecnici, attrezzisti, truccatrici e parrucchiere al nostro servizio.
Sta per nascere qualcosa che non è mai avvenuto nemmeno nelle versioni de "Les Misèrables" di West End o Broadway.
Un evento senza precedenti al mondo, e difficilmente in Italia potrà mai vedersi mai qualcosa che ci si avvicina.
Qualcuno ha detto che si sta facendo la storia del teatro italiano. Forse è esagerato, ma di sicuro la risonanza che c'è attorno allo spettacolo è un decimo di quella che si meriterebbe; evidentemente il musical è ancora il cucciolo bastardo del palcoscenico, che senza VIP televisivi o storie tratte da fiabe/film non è degno d'attenzione. E anche quando si produce qualcosa di complesso, un po' più elevato e profondo, di cui è universalmente riconosciuta la qualità, l'Italia non se ne accorge. Perché dai, in fondo il teatro ricercato lo si fa vestiti di nero e con i fondali minimalisti, un baraccone colorato in cui i personaggi cantano non può essere davvero una roba seria.

mercoledì 11 luglio 2012

D: era scritto

Ore 7.55, arrivo agli studi Mediaset.
L'appuntamento è per le 9, ma avendo viaggiato verso Roma in notturna ed essendo arrivato nella Capitale alle 6 di mattina, mi era stato detto per telefono che potevo arrivare anche prima: mi avrebbero fatto entrare e poi avrei potuto aspettare nel baretto interno.
All'esterno, mi avvicino alla guardia, che mi ricorda tanto quella all'ingresso degli studi Warner Bros negli Animaniacs.
"Scusi, dovrei registrare una puntata del quiz Il Braccio e la Mente, sono troppo in anticipo?"
"Eh, vedi te, de 'na mezza jornata armeno"
Roma, sono arrivato.

Mi faccio uno shampo nel bagno, cercando (inutilmente) di riacquistare un'aria decente dopo la nottata (non) dormita in treno.
Dribblo un'orda di spaventosi partecipanti ai provini di Amici di Maria De Filippi, conosco gli altri concorrenti del quiz, mi nutro coi gustosi cestini del pranzo Mediaset (davvero, non è sarcasmo).
Testo le prove fisiche che potrebbero capitarmi durante la registrazione della puntata, e sopravvivo. Ovviamente lo specchio inclinato, quella in cui me la cavavo meglio, non mi è capitata durante la puntata.
Mi danno una camicia azzurra che pare uscita da Camera Cafè. Poi me ne propongono un'altra, ROSA. Io fingo di provarmela, ingrossando spalle, schiena, pancia e quant'altro, piagnucolando un mellifluo "uh, che peccato, mi sta stretta" mentre riafferro quella azzurra.
Trucco e parrucco.

Scendiamo in una saletta vicino allo studio. Io registrerò la terza puntata della giornata, così da un monitor ci guardiamo tutti assieme le puntate precedenti.
Nel frattempo ci intervistano per scoprire particolari interessanti con cui Flavio Insinna può scherzare; dato che non posso dire che faccio teatro (altrimenti poi la gente da casa pensa che sia tutto finto, con attori che interpretano la parte dei concorrenti) devo inventarmi qualcosa di finto. Ragionamento che non fa una piega. Che bella, la televisione.
Comincia la seconda puntata e arriva al gioco finale. Il personaggio misterioso è Marilyn Monroe; la concorrente lo indovina all'ultimo indizio, io l'avevo già indovinato a metà strada. Avete presente quando guardate un quiz da casa, sapete la risposta e vi innervosite perché il concorrente non la sa, e voi al suo posto potreste vincere millemila milardi di euro? Ecco, la sensazione è la stessa centuplicata, quando sei in uno stanzino a 5 metri dallo studio televisivo, e ti viene l'impulso di aprire il portone, irrompere in mezzo a tutto quanto e urlare la risposta. Soprattutto quando per tutta la mattina ti hanno detto "registri la seconda puntata" (quella con il personaggio misterioso Marilyn Monroe) e poi all'ultimo momento cambiano "ma no, dai, facciamo una puntata uomo VS uomo, tu registri la terza puntata).

Comunque, arriva il mio turno.
Mi dicono di smettere di recitare, che faccio le facce buffe. Come faccio a spiegargli che non sto facendo nulla di più di come sono io nel mondo reale, e che mi dicono tutti che nella vita di tutti i giorni ho l'espressività di un cartone animato?
In tv non sembra, ma in studio il pubblico suggerisce. E tanto.
Ma siccome il mio rivale aveva una storia straziante (devo riconquistare mia moglie e portare mia figlia a Eurodisney, in aereo, sfidando la mia paura del volo, per loro), mentre la mia improbabile identità fittizia è un playboy sciupafemmine, tutto il pubblico non tifa per me. Alè.
Intanto però, nelle pause pubblicità, faccio un po' amicizia con la Signora Giovanna, la mascotte della trasmissione che è sempre stata tra il pubblico per la registrazione di ogni puntata, sostenendo i concorrenti e offrendo da bere, asciugamani, e offrendosi per qualunque cosa abbiano bisogno. Per cominciare, le chiedo di prendermi a schiaffi in ogni pausa pubblicitaria, se sbaglio le risposte; la Signora Giovanna è di parola.
Sopravvivo al girarrosto (dolorosissimo) e, forte delle mie corsette mattutine, faccio un figurone sul tapis roulant. Arrivo al gioco finale, una sedia che scotta.
La Signora Giovanna mi augura di vincere e che fa il tifo per me, perché sono il concorrente più gentile e simpatico che ha visto in due mesi di registrazioni. Mi deve aver portato fortuna, perché ce l'ho fatta.
Sia lodato Claudio Bisio e Rapput. E anche il karma.

Boom, tanti soldi.
Che in realtà non so bene come siano fatti, tutti assieme.
Ah, prima che gli avvoltoi inizino a svolazzarmi attorno, sappiate che è inutile chiedermi di offrirvi cene, vacanze, scarpe o costose cure per le vostre vesciche. I soldi mi arriveranno tra taaaaaaanti mesi, quindi per adesso sono povero come sempre. Lo testimonia il fatto che, subito dopo aver vinto tutti quesi soldi, stavo per dormire in stazione Termini, causa sciopero dei treni. Poi vabbè, la solita avventura à la Carlo Alberto, e tra treno, pullman e autostop sono riuscito a tornare a casa.
Quando mi arriveranno i soldi, saranno in gettoni d'oro. Spero sia tutto come me lo immagino, voglio una foto nella vasca come Paperon De' Paperoni. Subito dopo, ho già scelto come usarli, non spenderò nulla per me-adesso, ma li tengo sotto il materasso per qualche progetto che mi ronza per la testa. Imponendomi di non toccarli.
Quindi rimarrò sempre il solito disperato che si fa un'ora a piedi per non spendere 1 euro che non ha.