martedì 26 febbraio 2013

Gioie e dolori


"...viviamo in un flusso di comunicazione continuo: cinema, internet, telefonini, televisione, giornali. La visibilità di un prodotto passa attraverso questi mezzi. Ma il teatro non è uno di questi mezzi, dà una notorietà molto circoscritta. Sono media ma non mass-media. Il teatro è antico, come le città. Le città ormai sono grandi musei a cielo aperto, parchi tematici che hanno per tema sé stesse. Almeno le grandi città lo sono. Sono prodotti da promuovere, questo non scandalizza più nessuno. Le città sono luoghi di rapporti umani concreti. Se la città come prodotto culturale da promuovere ha bisogno dei mass media che ne moltiplichino l'immagine, la città come luogo concreto dei rapporti umani ha bisogno del teatro, la musica, le attività creative, che servono a comunicare senza mediazioni. Se il cinema e la televisione servono a far vedere un prodotto fuori dalla fabbrica, il teatro, la musica, le attività creative servono a concepire al proprio interno il prodotto, a far funzionare la fabbrica. Se il mondo assiste al 'grande evento' attraverso televisione e cinema, il grande eventofunzionerà perché c'è una 'fabbrica' che lavora per produrlo. E deve essere una fabbrica che si nutre di rapporti umani quotidiani. Di relazioni e dialogo di confronto con le giovani generazioni. Il teatro del futuro, come quello del passato, è fatto di ambienti culturali. Se i mass media illuminano la città dall'esterno, come i bengala durante i bombardamenti, il teatro illumina la città dall'interno, come una buona rete di lampioni. Il teatro è un ambiente culturale perché coniuga il territorio e lo spettacolo, l'evento e la continuità."
"Le persone del mondo dello spettacolo sono le più coraggiose e tenaci sulla faccia della terra. In un solo anno affrontano il rifiuto quotidiano da parte delle persone in misura maggiore di quello che gli altri vivono in un'intera vita. Ogni giorno affrontano la sfida finanziaria di vivere uno stile di vita freelance, la mancanza di rispetto della gente che pensa che dovrebbero trovarsi un lavoro vero, e la loro stessa paura di non lavorare più in futuro. Ogni giorno devono ignorare la possibilità che la visione a cui hanno dedicato la propria vita sia un sogno irrealizzabile. Con ogni parola, con ogni gesto, con ogni nota espongono sé stessi, emotivamente e fisicamente, rischiando critiche e giudizi... Ogni anno che passa molti di loro osservano loro coetanei che raggiungono gli le prevedibili tappe di una vita normale - la macchina, la famiglia, la casa, i risparmi.
Perché?
Perché le persone del mondo dello spettacolo sono disposte a dare la loro intera vita ad un solo momento, a quella frase, a quell'accordo, a quel movimento, a quella melodia, a quell'interpretazione che toccherà l'anima del pubblico.
Le persone del mondo dello spettacolo hanno assaporato il succo della vita in quel momento cristallino in cui sono riuscite a far uscire il loro spirito creativo e a sfiorare il cuore di qualcun altro. In quell'istante erano più vicini alla magia, a Dio e alla perfezione di quanto chiunque altro avrebbe mai potuto. E nei loro cuori, sanno che a dedicarsi a quel momento vale più di mille vite intere."

mercoledì 13 febbraio 2013

Le Cinérables



Les Misérables, al cinema.
È la prima volta che mi capita di vedere sul grande schermo un film tratto da un’opera che avevo già interpretato a teatro. (L’evento però è destinato a ripetersi proprio con altri due musical, con Spring Awakening e Into the Woods in arrivo al cinema nei prossimi anni)
È una sensazione strana, perché sei stato immerso in prima persona in quell’universo narrativo, provando e riprovando le scene, entrando nella psicologia dei personaggi, rivivendo quotidianamente azioni ed eventi fuori dall’ordinario, vedere i protagonisti interpretati da volti amici con cui si sono condivise chiacchiere, battute e problemi…

E poi - bum! – ecco che Les Misérables diventa un filmone con centinaia di comparse, costumi e scenografie spettacolari, movimenti epici di cinepresa, le candidature agli Oscar e le interpretazioni di Hugh Jackman, Russel Crowe, Anne Hathaway più il resto della gang hollywoodiana. Fa strano.
Perché sono ovviamente affezionato alla “nostra versione”, ma vedere tutto quel ben di Dio, quell’Anne Hathaway che adesso le intaglio un Oscar da un lingotto d’oro e glielo porto a casa di persona, quelle buone idee che arricchiscono la messa in scena… bè, mi ha messo i brividi.
Ok, mi sono commosso, ho riso, mi sono esaltato e spaventato (pur conoscendo in anticipo i singoli dettagli della vicenda) ma ci sono stati brividi diversi dal solito, che non avevo mai provato prima: durante la battaglia sulle barricate sono stato catapultato a qualche mese prima, quando anch'io combattevo la stessa battaglia, e ora ne sono solo un inerme spettatore.
Non saprei nemmeno come definirlo. Un mix di dejà-vu/nostalgia/immedesimazione/flashback che… boh. Uao.

Quindi, che dire?
Il teatro è meglio, perché hai i personaggi davanti a te in carne e ossa, le emozioni sono rivolte direttamente a te senza il filtro di uno schermo, e gli interpreti quella sera danno ogni singola goccia del loro sudore per te, e quelle (relativamente) poche persone che sono con te in platea.
Però dai, il cinema è meglio, ci sono tanti soldi dietro, è più spettacolare, il biglietto costa meno, e tutt
Vabbè, insomma. fate quello che vi pare, abbandonatevi ai medium che più vi soddisfano, basta che vi lasciate trasportare da personaggi, storie, emozioni e sogni.

Basta che, nel caso dei Miserabili, non vi leggiate il libro di Victor Hugo, perché è una palla mortale.