venerdì 26 dicembre 2014

Theatrathon

Sono sempre stato un individuo multitasking, sentendone quasi il bisogno.
Sul labile confine del disturbo dell'attenzione, non ho mai voluto fossilizzarmi su una sola cosa da fare. Anche dal punto di vista del teatro, quando ho capito che avrei voluto e potuto farne una professione, mi spaventava il pensiero di dedicarmi a un solo genere teatrale alla volta (improvvisazione, prosa, musical, ecc.) senza poter fare altro.
Direi che ho esaudito il mio desiderio.
Nell'ultimo mese sono riuscito a lavorare in concerti natalizi, cene con delitto, spettacoli di teatro per ragazzi, operette, concerti musical e altro ancora.
In un mese, 11 spettacoli -diversi-.



Non mi lamento affatto di tutto ciò, figuriamoci, soprattutto in un periodo in cui il lavoro scarseggia, specialmente in questo settore.
Però credo di voler rivedere i miei desideri, dopo aver testato sulla mia pelle un delirio simile.
Ho capito cosa posso fare e cosa voglio fare, ho capito quando voglio premere l'acceleratore e quando invece è il caso di dire qualche no, consapevole che in ciò che faccio voglio mantenere un certo standard qualitqativo e mi voglio riservare del tempo per scrivere/organizzare spettacoli futuri. Mi ripetevo sempre che "avrò tempo di scrivere e pensare ai progetti personali quando sarò disoccupato", ma visto che le cose stanno girando per il verso giusto posso pensare a ritaagliari qualche momento di maggese.
Per i prossimi due mesi ho 4 spettacoli diversi ogni mese, e mi sembra una cifra già più accettabile, un buon compromesso tra la mia folle volontà di fare il più possibile e il mantenimento della sanità mentale.
Poi gradualmente arriverò all'anno sabbatico in cui andrò direttamente in letargo rinchiudendomi in un bozzolo.

In tutto ciò sto pure ultimando i preparativi per insediarmi in casa nuova, visto che a breve inizieranno i lavori di restauro. Era qualcosa che volevo fare quasi un anno fa, ma all'epoca mi sembrava di essere troppo impegnato e ho continuato a rinviare in attesa di un momento con più respiro; a ripensarci quel periodo era il nulla assoluto in confronto ad ora, ma non volendo più rinviare ho stretto i denti e son riuscito a fare tutto, al costo di qualche ulcera in più e molte ore di sonno in meno.

Good-bye, ci si rivede dopo il passaggio al grande 3.

domenica 14 dicembre 2014

iDeath


Settimana scorsa mi hanno rubato il computer portatile.
Sono sceso dalla macchina per mezz'ora, in pieno centro in una zona piena di passanti, e al mio ritorno la macchina era stata aperta e il mio bel MacBook era scomparso.
Al suo interno, TUTTO: Vita lavorativa e non, articoli, copioni, foto, loghi, locandine, bozze e scritti work in progress, spunti e idee salvati in un cassetto per poi svilupparli in futuro. Più di un anno di lavoro volatilizzato, notti insonni a scrivere e preparare materiale, ogni minimo ritaglio di tempo, ora non c'è più.
Potete evitare di ricordarmi l'importanza di avere sempre una copia backup o quanto sia disdicevole lasciare un portatile in macchina; se vi diverte tanto, piuttosto andate all'ospedale a versare alcool sui pazienti nel reparto grandi ustionati.

Se escludiamo la salute delle persone che amo, credo sia la cosa peggiore che potessero farmi.

Una ballerina che si rompe una gamba.
Un cantante che deve operarsi alle corde vocali.
Un tennista con un braccio fratturato.
...e poi ci sono io, senza il mio Uber-bloc-notes virtuale dove era raccolto il frutto della mia creatività, germogli che sarebbero potuti diventare qualcosa di grande e che ora non ci sono più.
Mi sono appuntato poche cose, davvero poche, che riesco a ricordarmi. Nei prossimi giorni appena avrò di nuovo un computer cercherò di recuperare quelle manciate di materiale (foto, copioni completi) che avevano anche altre persone, ma è solo la punta dell'iceberg di una quantità inimmaginabile di mia materia grigia che avevo riversato all'interno di quel portatile.
Potete farmi qualunque cosa e difficilmente accuso il colpo, ma stavolta sono riusciti a colpirmi nel mio punto debole: raccontare storie. L'attività a cui tengo di più e ciò che credo di saper fare meglio. E il tempo, ormai merce sempre più di valore nella mia vita, che nelle prossime settimane/mesi sarà impegnato anche a riscrivere progetti che erano già in corso d'opera.

Ammetto che è stata una discreta batosta, da anni non stavo così male per qualcosa.
...ma evidentemente, se doveva succedere una cosa simile, vuol dire che erano tutte pessime idee.
Da domani si ricomincia, scrivendone di migliori.

martedì 18 novembre 2014

Il Giocoliere - il ritorno

Vorrei scrivere qui più spesso. Ma quando non scrivo solitamente il motivo è che non ho tempo, situazione sempre più frequente.
In questo periodo mi sento più che mai un Giocoliere, per citare la precedente versione del mio blog, cercando di far fluttuare più palline possibili senza farne cadere nessuna.
Faccio tanto, e questo innanzitutto è quello che ho sempre voluto.
Spettacoli in cui recito (o canto/ballo, in caso di concerti/musical/operette), spettacoli che scrivo e dirigo; alcune cose nate da me, altre organizzate assieme a gruppi di amici/colleghi con cui mi trovo bene a lavorare, altre ancora in cui sono stato contattato da terzi.
La Piccola Bottega degli Errori è partita col piede giusto, un paio di spettacoli in cantiere, un bel po' di progetti in divenire e anche collaborazioni con realtà interessanti che potrebbero dare i loro frutti.
Badcomics.it sta procedendo alla grande, abbiamo fatto best-copertura-ever di Lucca Comics, ci sono novità interessanti e sono soddisfatto anche della mia frazione nerd della giornata, avendo già in programma speciali e altri articoli per i prossimi mesi.
Finalmente ho iniziato a lavorare concretamente per Casa Montori, girando in cerca di camere, arredamenti e accessori per dare vita a un luogo che sicuramente sarà diverso da tutti gli altri appartamenti, ma che sarà la casa perfetta cucita addosso a me. Pensavo sarebbe stato un processo lungo e doloroso, ma mi sto divertendo a dare forma all'idea che ho avuto e il tutto dovrebbe essere pronto in meno del previsto, potrei addirittura pianificare l'inaugurazione per l'inizio della primavera.

Oggi però ho creduto di essere arrivato al punto di rottura. Mi sono reso conto di aver mille cose a cui pensare, troppo da fare e organizzare per una persona sola, casini da risolvere che capitano tutti assieme... ho pensato di essere giunto al limite in cui non ce la faccio più, vado in crisi e impazzisco.
E poi arriva il trailer del film dei Peanuts.
Ottimo tempismo.
Il mondo torna a essere un posto migliore: mi bastano questi 2 minuti per restituirmi la tranquillità, improvvisamente tutto si alleggerisce e posso di nuovo affrontare con leggerezza tutto ciò che è la mia vita ora, destreggiandomi tra compiti e responsabilità.
Sono una persona semplice, da sempre mi è bastato uno Snoopy per ridarmi il sorriso e farmi andare avanti.

mercoledì 8 ottobre 2014

La Piccola Bottega degli Errori

A settembre solitamente si scaldano i motori, capisco che succederà nell'anno lavorativo appena iniziato e comincio ad organizzare le mie attività.
L'anno scorso in questo periodo mi ero ritrovato in mezzo ad un'overdose di occasioni: le prime 5 audizioni appena uscito dall'accademia erano tutte andate a buon fine, ritrovandomi in una girandola di opportunità che ovviamente non potevo portare avanti tutte contemporaneamente.
Non era di certo la situazione in cui mi immaginavo; ero convinto che avrei dovuto lottare per poter entrare anche solo in uno spettacolo prodotto da qualcuno che fosse fuori dal mio giro, e per il resto mi sarei dedicato a progetti personali.
Ecco, questa dimensione mi appartiene di più, anche se ovviamente apprezzo i vantaggi e lo sfarzo dei salotti buoni, però non sarei il Funambolo se non volessi un sottile filo di corda su cui camminare in precario equilibrio.
In questo momento mi trovo comodamente su un filo con tante destinazioni: una miriade di corsi che potrebbero partire ma anche no, uno spettacolo/concorso con una piccola realtà affermata che sembra avermi preso in simpatia, uno spettacolo con amici che va smussato per permettergli poi di brillare, qualche data qua e là con una nuova compagnia musicale...
Ma soprattutto ho il tempo di dedicarmi a scrivere un po' dei molti spettacoli che affollano la mia mente, alcuni dei quali per coincidenze o segnali che mi manda il mondo esterno avranno la priorità... e tra questi potrebbe esserci pure LO spettacolo, quello a cui voglio più bene di tutti e credo possa essere l'idea migliore che abbia mai avuto e mai avrò, quello col messaggio più importante che io voglio trasmettere, e ovviamente quello più difficile da realizzare.

Ma da qualche settimana ha aperto anche la Piccola Bottega degli Errori!
Un progetto personale sotto la cui ala raccoglierò tutte le mie future creazioni: soprattutto teatro ma non solo, la voglia di raccontare storie in spazi e modalità diversi dal solito, a modo mio. 
Ci saranno altre persone al mio fianco, un po' alla volta la Bottega si arricchirà di nuovi elementi che mi accompagneranno in questo percorso, di cui conosco qualche passo ma non so nemmeno io quale aspetto prevarrà. Teatro per ragazzi, teatro di strada, musical, prosa, teatro di narrazione e chi più ne ha più ne metta. Di sicuro proporrò il tutto con i mezzi che ho a disposizione, trovando anche strade nuove visto che qualcosina di comunicazione e marketing sono convinto di saperlo... quindi non mancheranno azioni di guerrilla theatre nei contesti meno prevedibili.
Insomma, sintetizzando tutto ciò, mi divertirò. Molto.


venerdì 29 agosto 2014

Il Funambolo - Season 1

Se questo blog si chiama Il Funambolo è perché a un certo punto della mia vita ho accantonato tutti i "piani B", le reti di salvataggio che stavo stendendo sotto di me, e ho deciso di dedicarmi anima e corpo alla carriera di artista, vivere di teatro senza alcuna certezza se non quei 2 metri di fune (instabile) davanti a me. 
Ma in realtà finché era solo un'attività part-time, o una materia di studio che occupava le mie giornate non c'era un vero rischio. Quindi gli ultimi anni sono stati solo una "scuola da funambolo", la vera vita da Funambolo è iniziata quando ho finito l'accademia e mi sono ritrovato immerso in un enorme foglio bianco con tanti progetti in mente da realizzare.

Ripenso all'anno appena trascorso ed è tempo di bilanci, prima di cominciare una ideale "seconda stagione".
Quando l'estate passata credevo di vagare nell'incertezza, mi sono ritrovato ancor prima di rendermi conto di aver finito l'accademia nel cast di Scooby-Doo e il Mistero della Piramide: in giro con un musical che ha toccato i principali teatri italiani, assieme a un gruppo con cui ci siamo divertiti un sacco e abbiamo fatto crescere uno spettacolo, nonostante tutte le difficoltà organizzative.
Non credevo di arrivare a una grossa produzione così presto, e invece eccomi a vivere un mese a San Marino per montare lo spettacolo e a girare per l'Italia toccando anche città che non avevo mai visitato prima.
Inoltre ho avuto l'occasione di mettere in scena il primo spettacolo scritto, diretto e prodotto da me, un adattamento del Piccolo Principe che forse hanno già fatto in tanti, ma con cui aveva un senso che io cominciassi la mia avventura teatrale, cercando di dargli un tocco personale diverso dagli altri. Avrei voluto fare tutto con calma, ma mi è stata richiesta una replica inaspettata e allora -via!- a mettere in piedi tutto in 2 mesi (uno dei quali a distanza, coi fili da burattinaio che orchestravano tutto da San Marino) e con la malinconia di non aver potuto assistere alla Prima del mio primo spettacolo a causa della tournée di Scooby concomitante. Ma è andato benissimo e sono soddisfatto.

Mentre ero coinvolto in questo turbine di novità è arrivato anche il progetto Badcomics.it, sito d'informazione fumettistica nato con l'obiettivo di dimostrare che anche in Italia possiamo trattare il settore dei fumetti con lo stesso approccio professionale che si è ormai raggiunto in altri settori dell'intrattenimento. In un anno abbiamo fatto tanto, è stato un ottimo inizio, ma c'è l'intenzione di crescere e fare molto di più.
Non c'entra molto col teatro, ma è una seconda attività che mi permette di portare avanti la mia passione, che con qualche acrobazia riesco a gestire incastrandola con gli impegni artistici. Poi non posso rinnegare la mia anima nerd: una regista mi ha detto che ogni narratore "ha come alleato silenzioso, quando racconta una storia, tutte le storie che ha ascoltato o letto" ... e in quanto nerd posso fieramente affermare di avere al mio fianco ogni volta che salgo sul palco un esercito fatto di fumetti, film, libri, serie TV e videogiochi.

Un'altra cosa di cui sono felice è di aver avuto la possibilità di arricchirmi con un sacco di esperienze differenti. Ho visto un sacco di spettacoli meravigliosi, anche grazie a una gita a Londra e a un'estate molto ricca da questo punto di vista. Mi sono dedicato alle mie follie improvvisative, al teatro di strada, ho indossato la testa di Frank al Biografilm Festival e ho interpretato Puck durante un matrimonio in un parco. 
È stato l'anno delle residenze teatrali: tra ReggioNarra, Alcatraz e Ti Racconto a Capo ho imparato tanto, ho conosciuto bellissime persone e ho conquistato un sacco di sorrisi che ancora mi illuminano il cuore.

Quanta bellezza in un solo anno.
E ora?
Tanti progetti. Come al solito.
Rispetto a un anno fa i prossimi mesi sono meno delineati, ma ci sono rischi e scommesse che possono darmi tanto.
Un trasloco, bambini, bandi artistici, una Bottega che aprirà a breve... ma non voglio spoilerare troppo.


sabato 23 agosto 2014

Chef - La Ricetta della Felicità

Non sono solito utilizzare questo blog per recensire film, fumetti o serie tv, preferendo raccontare la mia avventura teatrale o comunque esperienze personali che mi emozionano e sento il bisogno di condividere con quella manciata di persone che passano di qui.
Ma ogni tanto si fa un'eccezione, soprattutto se un film parla di questa folle camminata sul filo e dello spirito che muove molte delle mie decisioni, come in questo caso.

"Chef - La Ricetta della Felicità" (sottotitolo tutto italiano da famiglia del Mulino Bianco, ma dopo la visione del film non mi dispiace poi così tanto) è un film scritto e diretto da Jon Favreau, che chissà perché ha deciso pure di interpretarlo nel ruolo del protagonista. Chissà perché.
Jon Favreau ha iniziato scrivendo e interpretando piccole commedie senza troppe pretese, ma con uno stile ben riconoscibile; poi negli ultimi 10 anni ha girato una serie di blockbuster che gli hanno dato una grande popolarità, in primis i film su Iron Man. Con una mossa abbastanza sorprendente Favreau ha deciso di fare marcia indietro, girando una piccola commedia che ricorda i suoi film degli inizi, nella quale figurano però un paio di grandi attori, conosciuti sul set dei suoi ultimi film. Basso budget, alta libertà creativa.
Il protagonista di "Chef" invece (?) è Carl, un cuoco che è riuscito a raggiungere una grande fama lavorando in un ristorante di successo, dove però il proprietario gli impone di cucinare sempre i soliti piatti senza permettergli di sfogare il suo estro creativo. Riuscirà a trovare l'entusiasmo delle sue origini aprendo un furgone che prepara cibo direttamente in strada, attraversando gli Stati Uniti con un suo ex-collega e col figlio.
...lo so che sono molto velate, ma voi ci trovate delle similitudini?

Scegliendo opportunamente la metafora culinaria che cavalca il boom gastronomico di questi anni, che ha fatto la fortuna di Antonella Clerici e Gordon Ramsay, "Chef" racconta una fase in cui può trovarsi chiunque abbia a che fare con l'arte, con un mestiere in cui ci vuole passione, quando si mettono in discussione i risultati raggiunti e si cerca di ricordare i motivi che stanno dietro a certe scelte.
Ma ciò che rende "Chef" un film ancora più intelligente è che si tratta di un film su Internet. Sì, perché sono poche le persone che hanno veramente compreso come utilizzare a proprio beneficio il mondo dei social network, nel mondo del lavoro. Molti credono di sapere tutto, ma la maggior parte crede che Internet sia "solo" una vetrina. Se pensate così... bè, non è la risposta giusta.

Ah, se non si fosse capito: stra-consigliato, trovate un modo per vederlo.

venerdì 15 agosto 2014

Ti Racconto a Capo


Tutto comincia così: un paio di mesi fa rispondo a un bando per candidarmi a una residenza teatrale, un progetto che sulla carta mi attrae molto e potrebbe essere un'esperienza in grado di arricchirmi.
Non vengo selezionato. Peccato. Intanto la vita va avanti.
Poi, una telefonata: "Ciao, ti chiamiamo per la residenza teatrale Ti Racconto a Capo. Una persona ha rinunciato all'ultimo momento, ti interessa ancora?"
"Uhm, quanto tempo ho per decidere?"
"Un paio d'ore."
E così, a poco più di 24 ore dalla partenza, sposto impegni, organizzo un viaggio della speranza e preparo i bagagli per passare 10 giorni in Puglia, a fare teatro. Confesso che la chiamata last-minute mi ha lasciato indeciso per un'oretta, davanti alla prospettiva di preparativi rocamboleschi e una trasferta che nemmeno sapevo come avrei affrontato... ma alla fine mi sono deciso: questo è ciò che voglio fare nella vita, il resto (le altre cose da fare, i soldi, la pigrizia, ecc.) passa in secondo piano. Sempre.

Sono in treno.
Freccia Diamante, Business Class.
Grazie, blablacarista bidonaro e vacanzieri che non avete lasciato posti sui treni per un poveraccio che ha scoperto solo ieri di dover attraversare l'Italia.
Comunque, non so se è per il lusso circostante, per l'assenza di wi-fi, per il fatto che non mi fossi portato nulla da leggere, o se per la frenesia della consegna a ridosso della scadenza che mi fa sempre essere più produttivo, ma in viaggio trovo l'ispirazione.
Sì, perché ognuno dei partecipanti alla residenza ha avuto qualche settimana per preparare una performance da presentare agli altri, che avrebbe potuto essere inclusa nello spettacolo finale... e io ovviamente mi ritrovo a pigiare tasti a caso sul mio portatile, sperando in un'illuminazione divina.
Il tema è l'amor perduto: abbiamo ormai perso le parole per dire ti amo, le abbiamo nascoste perché oggi non va di moda, le vorremmo dire ma sembreremmo patetici agli occhi del nostro tempo e allora piangiamo d'emozione in silenzio.
Sarà che mi sento particolarmente affine a questo argomento, ma comincio a scrivere a getto continuo, d'impulso. Come il buon Jake Blues, ho visto la luce. Rileggendo quanto la mia mente ha partorito mi rendo conto che è un brano in cui ho messo molto del me stesso più intimo, una verità che solitamente raggiungo dopo un bel po' di lavoro e di riscritture.
Non c'è che dire, un ottimo inizio.
E infatti in 10 giorni riuscirò a fare pace con l'amore, a far scomparire l'astio che avevo nei suoi confronti a causa dell'uso retorico che se ne fa, ad innaffiare il cuore con luoghi e persone che mi accompagneranno a lungo.

La prima magia dell'esperienza Ti Racconto a Capo è il paese di Corsano, cuor sano.
Un'intera comunità che attende con impazienza l'arrivo di 16 attori provenienti da tutta Italia e anche oltre, sapendo che metteranno in scena uno spettacolo tra le strade del loro paese, creandolo dal nulla proprio in questo periodo di residenza.
Ognuno contribuisce come può: c'è chi presta letti per farci dormire e chi regala cibo per farci mangiare, tutti offrono il proprio aiuto mettendo a disposizione per lo spettacolo le proprie biciclette, i vestiti per fare i costumi, oggetti, case che diventano teatri. È il paese a permettere questa esperienza, a far sì che lo spettacolo possa prendere vita, senza alcun finanziamento pubblico; ognuno dà ciò che può, sapendo che in cambio otterrà arte e cultura.
Perché tutto il mondo non può funzionare così?
Gli abitanti di Corsano sanno che lo spettacolo è anche loro, lo capiamo quando scendiamo in piazza per la prima volta e gli anziani del paese ci chiedono: "Su cosa lavoriamo quest'anno?"
Sì, perché le loro testimonianze, le storie e le esperienze che sono impazienti di raccontarci entrano a far parte dello spettacolo; i racconti e le tradizioni, i profumi e i sapori del luogo hanno preso vita nei vicoli e sui balconi, in una serata magica che non avrebbe potuto andare in scena in nessun altro luogo al mondo.

Sono stati 10 giorni intensi, tra interviste radiofoniche, megafoni all'alba in riva al mare, feste in spiaggia, concerti jazz soporiferi e sagre della pizzica dove fare volantinaggio e raccogliere fondi.
Ma ora tutto il lavoro e la fatica sembrano scomparsi, resta solo la memoria dei momenti di relax e divertimento tra una prova e l'altra.
La colazione a base di pasticciotti.
Il training mattutino che, mannaggiammé come si sente che son fermo da 4 mesi.
Il turno di pulizie della Clean Squad, un'entusiasta coppia a metà tra Ghostbuster, spartani e pirati, che lava piatti accennando strani canti italo-inglesi.
La giornata da traduttore, cercando di insegnare la pronuncia italiana col supporto di Adele.
Gli scherzi notturni, i letti spostati e addobbati, le figure di merda.
Interrompere un esercizio in cortile, per lasciar passare il gregge di pecore.
Andare in giro con l'uomo più famoso del paese, e per fare 500 metri ci vogliono ore.
Il forbito linguaggio salentino, dove "Mannaggia la madonna squagliata!" è stata l'esclamazione più soft che ho sentito.
Il canzoniere inutile, che tanto poi facciamo a modo nostro.
Stare stesi sull'erba per guardare la luna scomparire all'orizzonte, avvistando la stella cadente più grande che io abbia mai visto.
Animali ovunque: dai cani che abbaiano per tutta la notte al gallo sfasato che canta tutto il giorno tranne all'ora giusta, dai pipistrelli che svolazzano sopra la testa agli insetti di ogni tipo che ci hanno divorato per tutta la nostra permanenza.
Cenare al tramonto con le delizie salentine, perdendosi tra pasta al sugo, rustici, pizza e panzerotti.
"Pensa di poter pensare senza evitare di parlare..."
Rime ad ogni ora del giorno e della notte, cercate o casuali.
I passettini di danza di Pieraccioni, che riescono a portare sempre il buonumore.
Mc Ciccio, ridente pub di Corsano, che giunta una certa ora capisce che non abbiamo intenzione di sloggiare e ci lascia chiacchierare sui tavoli fuori, spegnendo le luci ma lasciandoci bicchieri e piatti.
Le biciclette appoggiate al muro senza catena, le porte aperte che tanto ci si fida, alla faccia di tutti gli stereotipi meridionali.

Il ricordo di questa esperienza si porta con sé uno dei gruppi più belli con cui abbia lavorato, unito e ricco di risate fin dal primo giorno. E proprio durante la prima cena ha avuto origine una delle creazioni più riuscite della residenza, una sorpresa anche per gli organizzatori: per essere in tema con l'argomento del lavoro, ci inventiamo "il gioco dei corteggiamenti".
La mattina ognuno di noi pescava a caso il nome di uno del gruppo, persona che per tutta la giornata avrebbe dovuto corteggiare. Nemmeno noi potevamo lontanamente immaginare che livello avrebbe raggiunto questo "gioco": poesie, dediche, biglietti nascosti e dichiarazioni plateali, serenate, piccoli doni e letti di petali di fiori. Una riscoperta del corteggiamento e un modo per innamorarsi quotidianamente l'uno dell'altro.
Questa iniziativa ha dato vita a un'importante realtà artistica, il quartetto vocale BarBand, che ogni sera ha deliziato il pubblico con performance memorabili: il balletto da boy-band di Xdono di Tiziano Ferro,  la coreografia di nuoto sincronizzato sulle note di Sapore di Sale, l'esperienza sensoriale che ha accompagnato Baciala da "La Sirenetta", il coro dei pompieri di Bud Spencer e addirittura un rap in inglese per un corteggiamento alla londinese del gruppo. Un connubio artistico che prima o poi calcherà le scene dei più grandi palazzetti d'Italia.

Arriva l'ultima sera. In cielo splende la luna piena, lo spettacolo comincia con me a cavallo di una vecchia bicicletta e finisce con la mia trasformazione in un bambino vestito uguale a me.
Uhm. Ho un deja-vu.
I presupposti per una serata indimenticabile ci sono, e infatti gradualmente resto colpito da quanto riesca a emozionare, con quella che ritenevo in fondo in fondo "la mia robetta buffa". Tornare alle origini dell'amore, là dove tutto è iniziato, o dove tutto è finito, non lo so bene nemmeno io.
Sentirsi immersi nell'abbraccio di un paese, che di certo non è la culla della cultura e dove di certo non ci sono rassegne annuali di teatro con grandi compagnie in cartellone, ma si percepisce la voglia di ascoltare, gli occhi attenti, il cuore che batte all'unisono.
E alla fine, mentre fiorisce un campo di girasoli umano, farsi cullare dalle note di "Dove vanno gli amori quando finiscono?", meravigliosa canzone nata proprio durante questa residenza, e che mi porterò nel cuore e nelle orecchie ancora a lungo.


lunedì 21 luglio 2014

A Midsummer Week's Theatre

Niente, non so se fosse chiaro, nel caso qualcuno passi di qui senza conoscermi, ma io vivo di teatro.
Provato, masticato, fatto, ma soprattutto scoperto e visto.
Perché se uno vuole fare teatro, a teatro deve andarci. Può sembrare un ragionamento così scontato, ma spesso uno pensa di non avere bisogno di andare a vedere cosa fanno gli altri. Ci sono scrittori che non leggono libri. Ci sono registi cinematografici che non guardano film. Ci sono cantanti che non sentono il bisogno di scoprire musica nuova da ascoltare.
Io non sono così. Io voglio vedere tanti spettacoli. Perché il motivo principale per cui faccio teatro è perché mi ha dato tanto, mi ha trasmesso tante emozioni, mi ha raccontato tante storie e voglio provare a restituire una piccola parte di ciò che io ho ricevuto. Ma non ho la minima intenzione di smettere di ricevere, sono un ingordo.
Facendo teatro poi, vado a vedere spettacoli per rubare, copiare, lasciarmi ispirare e vedere cose da cui voglio scappare, scoprire nuove strade da iniziare a esplorare e osservare come altre persone hanno percorso le stesse strade.
Nel mio fondamentalismo (perché ho momenti da fondamentalista, in diversi ambiti) mi sono ritrovato a dire che se uno vuole fare teatro a livello professionale, almeno 3 spettacoli al mese deve guardarseli. Altrimenti non è che gli interessi poi così tanto, il teatro.
La scorsa settimana ho visto tre spettacoli, tre grandi spettacoli, che mi hanno ricordato quanto tanto si possa raccontare, quanti mondi diversi si possano celare sulle assi del palcoscenico, e quanti mondi anche più interessanti possano prendere vita giù dal palcoscenico.

Ragtime al Teatro Comunale di Bologna, produzione BSMT. Una garanzia. 
Avevo sentito solo un paio di brani del musical e conoscevo vagamente l'argomento della storia, perciò mi sono avvicinato allo spettacolo pronto a scoprirlo, consapevole di avere di fronte un grande evento.
E così è stato.
Vocalmente e musicalmente maestoso, coreografie eccezionali tra cui forse quella di maggior impatto che abbia mai visto dal vivo.
Sul palco, tanti volti noti, tanti ex-compagni di accademia che per la prima volta quest'anno sto guardando da sotto il palco. È strano, perché l'anno prossimo dentro la BSMT saranno più le persone che non conosco rispetto a quelle che conosco, ma credo che il legame sarà sempre forte. E guardare spettacoli simili, consapevole di essere al cospetto dell'eccellenza italiana, e sapere di averne fatto parte... bé una scintilla in più me la tiene sempre accesa.

Le Parole e la Città, spettacolo nato per celebrare l'anniversario dell'ITC Teatro di San Lazzaro, altra realtà di cui ho fatto parte (anche se solo per un anno, esperienza breve, ma intensa come tutti i progetti teatrali in cui mi ficco).
Un largo prato su cui sono distribuiti una serie di piccoli palchi. Sopra ognuno di esso una persona, due persone, un piccolo gruppo. Ogni palco rappresenta una realtà della città: un'associazione, una compagnia, un gruppo, un luogo... tanti frammenti della vita a San Lazzaro. Lo spettatore vaga liberamente per il prato, soffermandosi dove la curiosità lo spinge ad ascoltare. Sui piccoli palchi, quadrati di assi di legno, tante performance silenziose. Nelle orecchie degli spettatori, degli auricolari che con un ingegnoso sistema radio trasmettevano una registrazione audio collegata al palco che si osservava.
Una serata a girare per la città, più di quanto siamo ormai abituati a fare, in un modo che permette di esplorarla a fondo, ottenendo scorci delle vite delle persone. Un altro obiettivo teatrale che prima o poi riuscirò a sviluppare, in una delle forme che giacciono speranzose nel mio cassetto.
Ospiti della serata gli Oblivion (altra garanzia di qualità, made in BSMT), con cui mi sono anche aggirato un po' all'inizio dello spettacolo, prima di godermi il finale da loro firmato, sempre impeccabile.

Nudo, ovvero: Sogno di una Notte di mezz'estate. La commedia di Shakespeare è probabilmente il mio testo teatrale preferito, lo spettacolo che ho visto in più versioni, ognuna delle quali è stata una reinterpretazione diversa con elementi interessanti e originali.
Non potevo lasciarmi sfuggire questa versione, in grado di catturare l'attenzione per la scelta di avere gli attori nudi in scena. Confesso che inizialmente avevo qualche riserva sullo spettacolo, aspettandomi una performance sperimentale e pretenziosa che voleva stupire senza rispettare lo spirito dell'opera. Vabbè, nella peggiore delle ipotesi mi farò qualche risata, mi ero detto, ma fortunatamente mi sbagliavo. Nessun desiderio di essere sensazionalistici o cercare lo scandalo, ma esattamente il contrario: liquido rapidamente l'argomento nudità dicendo che dopo 5 minuti nemmeno ti rendi conto che gli attori in scena sono nudi, per come la cosa è portata in scena e per come gli attori la sostengano. Pare anzi la scelta più naturale possibile: difficilmente gli spiriti della foresta indosserebbero le tuniche ricamate con fantasie floreali che gli sono sempre state affibbiate (volpi, lupi e altri animali selvaggi portano il gilet e il panciotto solo nel magico mondo di Richard Scarry) e il graduale spogliarsi dei personaggi della città è un ottima metafora della disinibizione e della perdita degli schemi e delle convenzioni della città.
Lo spettacolo itinerante vagava tra un'antica villa lussuosa e il parco attorno ad essa; l'utilizzo degli spazi è stato affascinante, arrivando a una cornice incantevole e visivamente magica, tra il verde degli alberi immersi nella notte.
È così: uno spettacolo che credi di conoscere tanto bene ti mostra un approccio completamente diverso con cui essere messo in scena, che riesce a sembrarti così ovvio al punto da chiederti perché non sia una versione ricorrente.

"E a tutti buonanotte dico intanto, finito è lo spettacolo e l'incanto."
...no, no. L'incanto continua.

sabato 21 giugno 2014

L'Arte del Cappello

Artisti in Piazza è il miglior festival di teatro di strada che esista in Italia.
Per numero d'artisti invitati da tutto il mondo, per la varietà e la qualità media degli spettacoli, per la location incantevole, non c'è manifestazione di questo tipo nel nostro Paese che possa competere con quanto avviene a inizio a giugno a Pennabilli, sull'Appennino al confine tra la Romagna e le Marche.

Da qualche anno ho sofferto per l'impossibilità a presenziare a questo festival, sia come artista che come spettatore, perché quello che si crea per un week-end in questo piccolo borgo è quasi magia. Piazze, strade, teatri, vicoli, parchi, angoli di vie e sottoscala, ogni spazio trasuda spettacoli di ogni tipo. Si incontrano acrobati, clown, attori, musicisti, cantanti, mimi, e artisti che non hanno nemmeno un nome preciso per descrivere ciò che fanno; c'è gente che viene dal paesino romagnolo adiacente e gruppi che vengono dal Giappone, dalla Tasmania, credo che manchi all'appello solamente qualcuno da Giove.
E così in una sola giornata ti capita di vedere tanta arte quanto fatichi a vederne in un mese nel mondo esterno, anche impegnandosi. Torni a casa con tanti sorrisi e una mente più aperta, spalancata da tanti mondi sconosciuti di cui nemmeno potevi immaginare l'esistenza.

Partito come spettatore, mi sono ritrovato a sorpresa a vivermi 2 giornate da artista, per fare una sostituzione in un gruppo di amici. E anche se mi sono perso qualche spettacolo da vedere, ho avuto tanto perché avevo dimenticato quando possa dare il pubblico di Pennabilli.
L'Arte di Strada è quasi il contrario del normale circuito artistico: se per la maggior parte degli spettacoli fatichi a convincere le persone a venire a vedere il tuo spettacolo/concerto/performance, ma una volta che ci sei riuscito le hai catturate e restano lì dall'inizio alla fine, in strada è più facile che qualcuno si fermi, ma devi riuscire a convincerli che vale la pena rimanere a guardarti per mezz'ora o un'ora, perché alzarsi e andarsene è più semplice quando non hai quattro pareti intorno e non hai il vincolo psicologico di aver pagato un biglietto.
Pennabilli da questo punto di vista è strana, dato che mezz'ora prima di iniziare il tuo spettacolo arrivi nella postazione e ci sono già decine di persone pronte ad aspettare l'inizio. C'è però da dire che la concorrenza è più forte, bisogna continuamente innalzare l'asticella per catturare il pubblico senza fargli pensare che forse farebbe meglio a vedere pochi metri più in là il francese che cammina in equilibrio sui colli di bottiglia o lo svizzero che fa hula-hoop su un palo a 10 metri di altezza.
E se la gente rimane a guardare te, dopo aver visto che mostri sacri si esibiscono in contemporanea, quelle platee un po' ti galvanizzano.
Si tratta inoltre di un pubblico consapevole, te ne rendi conto al momento del cappello, tortura che nella maggior parte delle situazioni è un momento d'imbarazzo in cui gli spettatori riluttanti mettono qualche moneta a fine spettacolo per non fare brutta figura. A Pennabilli no, le persone si alzano a fiumi e ti dimostrano di riconoscere la tua professione, se devono andarsene a metà spettacolo lasciano comunque qualcosa nel cappello prima di allontanarsi; valorizzano la tua attività, capiscono che è quello che fai per vivere, e il gesto di lasciare qualche soldo è il loro voler finanziare la bellezza nel mondo, chi fa buona arte deve mangiare per poter continuare a farla, e ognuno di loro vuole che tu artista continui a diffondere per le strade ciò che fai.

Un concetto tanto ostico nella vita di tutti i giorni.
Perché in fondo noi siamo artisti, noi non lavoriamo per i soldi.
Lavoriamo per l'arte, creiamo spettacoli e le mele fioriscono nei nostri giardini, le bollette si autoestinguono, i nostri figli saranno magri e si morderanno l'un l'altro per la fame, ma saranno felici perché tanto si nutriranno della bellezza dell'arte.

martedì 3 giugno 2014

Fuga ad Alcatraz

Me ne vado per una settimana alla Libera Università di Alcatraz, per un corso di teatro tenuto da Dario Fo e Jacopo Fo.
Così, non avevo mai incontrato un premio Nobel e mi era venuta la curiosità di vedere com'è fatto dal vivo, se emette una luce particolare, se toccandolo guarisci dalle malattie o altre robe così.
Per ora non ho nemmeno incontrato un unicorno, ma ci sto lavorando.

Devo cominciare dalla descrizione di cosa sia Alcatraz, perché senza esserci stati è difficile immaginarlo. Anche con le parole e le fotografie si può capire solo in parte l'aria che si respira in quel paradiso, ma ci si prova, dai.
Arrivo in questo villaggio in mezzo ai boschi umbri. Dimenticatevi cellulari o portatili per connettervi a Internet, o voi che entrate ad Alcatraz, tanto sono utili più o meno quanto uno sbattiuova se vi trovate in mezzo a un tornado. Una manciata di bungalow dipinti con colori vivaci, casette di mattoni o torri dove riposare, se qualcuno ne avesse la voglia e il tempo.
Qua e là sbucano gigantesche teste di pietra, ippopotami pittati, variopinte statue tra gli alberi e altro ancora, in un vero e proprio museo a cielo aperto. Certo, un po' inquietante se cercando di tornare in stanza la prima notte, quando non conosci la strada e tutto è buio, vaghi con la torcia del cellulare come unica luce e scorgi tra i tronchi sagome di gente che corre (ma la mattina dopo scopri che sono fatte di filo di ferro) oppure un enorme drago con la bocca spalancata che compare all'improvviso di fianco a te grazie a un simpatico faro con un sensore che si attiva al tuo passaggio. Manderò alla segreteria la parcella del mio cardiologo.
Mi sono dato all'esplorazione dei boschi umbri, scoprendo che tutto il circondario è pieno di opere d'arte disseminate per sorprendere il curioso esploratore: manufatti appesi agli alberi, strani totem in mezzo a spiazzi d'erba, colorate decorazione sul bordo di piccoli corsi d'acqua.
Ho stretto amicizia con Ciccobaffo, gattone VIP (lo trovate tra i personaggi dell'ultimo romanzo di Stefano Benni) che si aggirava senza problemi in mezzo a una scatenata orda di teatranti, dorme in posizioni improbabili e che per l'intera durata del mio soggiorno ha deciso fosse cosa buona e giusta accoccolarsi su di me e farsi le unghie sulla mia pelle. O meglio, dentro.
Il cibo, proposto sotto forma di ricchi buffet senza limite alcuno, è sempre diverso ad ogni pasto e un vero toccasana: ho mangiato patate fritte e panzerotti fritti che sapevano di sano più di molti prodotti salutari (ciao!) che ci propinano in città.
La notte, camminando solo sul silenzioso sentiero che mi riporta al bungalow alzo il naso al cielo e mi faccio una doccia di stelle, specie ormai in via d'estinzione. Una lepre esce dai cespugli, si avvicina e mi annusa un piede (poraccia), poi si allontana zompettando dopo aver deciso di risparmiarmi la vita.

Che dire sul corso?
Dario Fo è un artista incredibile, un giullare in grado di trasmettere veri e propri tesori agli aspiranti attori, un container pieno di storie, che nonostante l'età ha occhi da bambino e in un attimo è in grado di accendersi e alzarsi dalla sedia, trasformandosi in un giovane Fo che recita sul palco frammenti dai suoi spettacoli che colleziona nella sua mente da tutta la vita... Ah, se potessi arrivare a 50 anni con l'energia che ha lui.
Jacopo Fo è altrettanto folle, lo conoscevo meno ma mi ha trasmesso altrettanto: carburante per il mio ottimismo, un interessante approccio per promuoversi, una divertente visione della vita, ma soprattuto la scoperta che esiste qualcuno che lavora su 10 libri contemporaneamente... la cosa mi tranquillizza, la mia incostanza iper-produttiva non è sola nell'universo.
Oltre ai Fo, abbiamo potuto sperimentare tante attività alcatraziane, che in qualche modo possono essere ricondotte al teatro: tai chi cuan, watsu, canto, danza del ventre, tarocchi, scatena-rilassamenti  musicali e altro ancora... Non so bene distinguere cosa mi abbia insegnato qualcosa, credo che ogni singolo mattone e pianta abbia in qualche modo contribuito a trasmettermi tanto; fare un percorso formativo simile in un luogo immerso nella natura, mangiando bene e circondato da sorrisi, aiuta ad assorbire e creare.
Tra le esperienze provate, le persone incontrate e gli aneddoti ascoltati in questa esperienza, La mia mente è stata innaffiata da così tanti input che in una settimana mi sono nate idee per dare vita a tre spettacoli e due corsi di teatro. Tutta roba che finisce nel baule (il cassetto ormai non bastava più) con i numerosi progetti che riuscirò di certo a realizzerare prima di morire a 147 anni, resta solo da vedere a cosa darò la priorità, pescando nel mucchio.

martedì 13 maggio 2014

L'Alveare delle Storie

Reggionarra, una manciata di giorni nel paese delle storie.
Ho potuto partecipare al Bando per giovani narratori, qualche giorno di formazione per cantastorie;
un modo per scoprire come osservare meglio l'incanto che c'è e c'è stato nelle nostre vite e saperlo trasmettere al meglio agli altri.
Ho scoperto che Reggio Emilia, oltre a essere una città più piccola di quanto pensassi e molto più cosmopolita di quanto immaginassi, diventa una città fantasma al calare delle tenebre. Ma soprattutto è riconosciuta a livello planetario (planetario tranne me, che lo ignoravo) come la città con le migliori scuole per l'infanzia DEL MONDO. 
Dopo una visita a una scuola materna, non posso che confermare, un sogno. Una meraviglia. Se mai avrò un figlio, lo porto a scuola a Reggio Emilia, a costo di fare il pendolare in bicicletta andata-ritorno ogni giorno.
Una tale attenzione per la cultura e l'educazione nei giovani esemplari d'uomo inevitabilmente ha qualche effetto sulla società tutta, perciò non stupisce che ci siano iniziative artistiche di tutti i tipi, come Reggionarra. Due giorni di storie per le vie, nelle piazze, nei teatri e agli angoli delle strade. 
Narratori, attori, genitori che hanno trasformato Reggio Emilia in un gigantesco libro di fiabe percorribile per ascoltare storie di mondi lontani. 
Domenica gran finale con L'Alveare delle Storie, un'esperienza teatrale unica. Un intero pomeriggio di racconti, spettatori che entrano a ritmo continuo, palchetti che diventano culle di storie.

D'un tratto, comincia l'incanto.
Tintinna il foyer del teatro Valli di Reggio Emilia, sotto gli occhi del pubblico curioso che assiste alla discesa di un gruppo di angeli bianchi.
Accompagno il primo gruppo di ascoltatori nel mio palchetto e lì iniziano ad avvicendarsi bambini intimiditi e bambini catturati, giovani e adulti che vogliono tornare bambini, genitori che sono lì solo per accompagnare i figli ma che si ritrovano inaspettatamente ipnotizzati dal potere delle storie.

Una bambina di 3-4 anni, con lunghi boccoli biondi e due enormi occhi celesti. Praticamente Candy Candy da piccola. Calibrando il racconto per la sua presenza mi limito negli elementi di paura, ma poi mi rendo conto che ad ogni passaggio spaventoso il suo sorriso si allargava e scambiava uno sguardo entusiasta verso i genitori. Allora giù il pedale horror.

Sfruttare quei pochi secondi di libertà per guardarsi attorno, studiare la magia dell'Alveare, catturare suoni, sbirciare i compagni nei propri palchetti e cercare di intuire in quale punto della loro storia siano.

"Carlo, sarai stanco, vuoi un cambio?"
"Non pensateci nemmeno, io non mi fermo."

L'ultimo gruppo della giornata ha ascoltato la mia storia, con lo sguardo calamitato su di me, vivendo con trasporto tutta la fiaba. Occhi lucidi, sorrisi, risate... un'ora dopo scopro che sono tutti stranieri e non capiscono una sola parola di italiano. Potrei deprimermi, perché se avessi parlato sotto forma di supercazzola per 15 minuti non sarebbe cambiato granché, ma credo che gioirò per essere riuscito a raggiungere il loro cuore anche al di là del confine delle parole.

Rendersi conto a fine giornata di aver fatto in un giorno 6 repliche al Teatro Valli, tutte sold out. La tripla mi era capitata, la sestupla ancora no.

Ora la valigia del cantastorie è più piena di una settimana fa, il viaggio si fa più interessante e nella mia testolina sono comparse nuove destinazioni. Ma il ronzio delle buone storie e delle belle persone incontrate non svanisce nelle mie orecchie...



Le favole dove stanno?
Ce n'è una in ogni cosa:
nel legno del tavolino,
nel bicchiere, nella rosa.
La favola sta lì dentro, 
da tanto tempo e non parla,
è una bella addormentata
e bisogna risvegliarla.
Ma se un principe, o un poeta
a baciarla non verrà
un bambino la sua favola
invano aspetterà.

martedì 6 maggio 2014

Teatlondra

Nella mia mente Londra sta perdendo l'accezione di città, ma si sta trasformando più o meno in una catena di teatri in franchising. Quando penso a Londra, la prima cosa che mi viene in mente è l'immagine a fianco.
Controllare quali spettacoli sono in programmazione, incastrare gli orari e le date per vederne il più possibile in pochi giorni, prenotare posti e biglietti cercando di trovare un buon compromesso tra il mio voler stare davanti e non voler vendere un rene sul mercato nero per potermeli permettere.
Non torno mai a casa deluso e anche quest'anno ho avuto tanto. Ma tanto tanto.

The 39 Step: Una spy-story hitchcockiana messa in scena da 4 attori, che interpretano un centinaio di personaggi in 100 minuti, facendosi da soli gli effetti speciali. Un approccio scenico che mi ha ricordato molto l'improvvisazione, mooooolto interessante.

Charlie e la fabbrica di cioccolato: Magico, nel vero e proprio senso della parola. Sono tornato a quando da bambino leggevo il libro di Roald Dahl, visivamente straordinario, musiche divertenti e bambini caratteristi con un'espressività fuori dalla norma.

Urinetown: Io adoro questo musical. L'ho sempre adorato, ma questa versione è ancor più cattiva, ti fa soffrire mentre lo guardi, e nel frattempo ti commuovi e ridi alle lacrime. In prima fila in un teatrino minuscolo con gli attori a meno di un metro da me.

Once: Entri a teatro e sul palco c'è un bancone. Sali sul palco, ordini da bere e ti ritrovi a non scendere più. Cioè, sì, scendi dal palco, ma rimani coinvolto nella storia dei due protagonisti. Credo di non essere mai stato così tanto trasportato emotivamente all'interno di uno spettacolo, interpreti eccellenti e una delle regie più intelligenti di sempre. Direi che batte Billy Elliot come miglior musical che io abbia mai visto.

Book of Mormon: Una piccola delusione. Mi aspettavo tanto, ma è stato "solo" buono, è come vedere una buon episodio di South Park. Non mi ha sorpreso, era esattamente quello che mi aspettavo ascoltando il CD, complice forse un cast che attorialmente bof.

Tito Andronico: Per festeggiare il 450° compleanno di Shakespeare volevo fare una gitarella a Stratford a vedere casa sua, ma gli orari non si incastravano coi miei programmi teatrali serali (a meno che non pagassi quasi duecento euro per un treno. AHAH.)
Così, ho rispettato la tradizione e sono entrato al Globe, come deve avvenire ogni volta che vado a Londra. Mi sembrava strano che quest'anno non ci andassi, e alla fine il destino mi ci ha riportato.
Non sono un fan di molte tragedie del Bardo, e vedere Tito Andronico è stato solo un ripiego perché non avevo altro da vedere... ma, mamma mia, è stato uno spettacolo incredibilmente potente, cruento, ben pensato per sfruttare il coinvolgimento del pubblico. Sono stato quasi intossicato dal fumo, ho dovuto correre da una parte all'altra della platea per non venire investito da delle pedane rotanti, mi è stato rovesciato addosso vino e sangue, ha piovuto, e data la violenza di certe scene una ragazza mi è svenuta addosso e un altro è andato a vomitare in un angolo.
Mi sono ricreduto: nonostante il testo non sia tra i miei preferiti, forse è lo spettacolo più interessante che io abbia visto al Globe, dopo il Sogno.

Matilda: Lo spettacolo da cui mi aspettavo di più in assoluto, e non mi ha deluso. Ci sono alcuni problemi di ritmo nella storia e la bambina protagonista non mi ha fatto impazzire, ma per le tematiche affrontate e il modo in cui sono messe in scena giocano proprio sulle mie corde più sensibili. Alcune scene sono fiacche, ma i momenti più emozionanti sono dei picchi con cui pochi altri spettacoli possono competere.
Migliori scenografie e migliori inchini finali che io abbia mai visto a teatro.

Certo, oltre al teatro ho fatto altro: pescare nelle fumetterie titoli sconosciuti che mi ispiravano, incontrare Martin Freeman nel bagno di un locale, imparare a usare i bus dopo esser capitato nel bel mezzo di uno sciopero della metro, chiacchierare con amici presenti su suolo londinesi, andare alla caccia di location nerd come il Tardis o il World's End...
Ma come avrete intuito leggendo i commenti degli spettacoli, per me il vero viaggio è in platea. O tornando a casa, ripensando alla ricchezza che mi ha attraversato la mente e il cuore.


martedì 15 aprile 2014

How I Met Your Story

Un paio di settimane fa è finito How I Met Your Mother, telefilm che senza troppi dubbi metto sul primo gradino del mio podio personale.
La conclusione (se non volete leggere, questo è il momento di andarvene) lascia un po' di amaro in bocca a chi cerca il "...e vissero sempre felici e contenti". How I Met Your Mother, che è sempre stato una serie portabandiera della serendipità, con passaggi che alcuni spettatori possono aver trovato retorici, nel finale spiazza tutti e dimostra che la vita è fatta di sorrisi ma anche di lacrime.
Il romanticismo non è quello delle fiabe, è una mentalità che rimane anche quando si scontra con gli ostacoli del mondo reale. I personaggi non hanno subito un'evoluzione "standard" per questo genere di storie, ma si rivelano incoerenti, commettono gli stessi errori.
Qualcuno può aver percepito questo finale come un "non-happy ending", ma io l'ho trovato più soddisfacente di un un congedo con arcobaleni e unicorni. Anche perché, se mi guardo intorno, le persone che conosco sono così, e il cast di HIMYM sarà sempre come un gruppo di amici con cui è stato bello trascorrere 9 anni.
Un decennio fa molti si separavano da "Friends" dicendo che era come se dovessero salutare degli amici e a me sembrava esagerato, l'ho sempre considerato solo un telefilm come molti altri. Poi è arrivato HIMYM, che mi è stato vicino in certi momenti in cui ho dovuto fare scelte, mi ha raccontato chi sono, mi sono riconosciuto in alcuni personaggi del cast (anche tra gli insospettabili).

Ma perché mi metto a parlare della fine di un telefilm con due settimane di ritardo, che su Internet equivale a un'era geologica. Innanzitutto perché il blog è mio e ci scrivo quello che voglio io, tiè. Poi si sa, ho i miei tempi sfasati per fare un po' tutto. Potevo non lasciare una traccia riguardo al mio telefilm preferito di tutti i tempi? No.
Ma soprattutto, questo finale mi ha ricordato quanto si può emozionare, raccontando una storia in modo originale e osare andando contro le aspettative del pubblico e anche contro ciò che desidera.
Anche in un mondo "ordinato" come quello delle sit-com, si possono rimescolare le carte in tavola, fare arte e inseguire con tenacia un'idea nonostante l'opinione comune vada in un'altra direzione.
È un periodo in cui sto vedendo tanti begli spettacoli a teatro: grosse produzioni, ma anche progetti più piccoli che riescono a dare risultati esplosivi grazie all'entusiasmo, a ottime idee e a buoni interpreti. Nei prossimi mesi avrò un po' di occasioni, inaspettate, di provare a raccontare qualcosa anch'io, spero tanto che il risultato possa essere qualcosa di cui almeno io sarò soddisfatto.

lunedì 17 marzo 2014

Realtà o finzione?


Questo video, pubblicato online una settimana fa (da allora, 60 milioni di visualizzazioni) ha scatenato un vero putiferio: a commenti iniziali che manifestavano quanto fosse emozionante, sono presto seguite accese lamentele appena qualcuno si è accorto che è un pubblicità di una linea di abbigliamento.
Il fatto che non fosse una manifestazione del sacro fuoco dell'amore improvvisamente scesa dal cielo deve aver sconvolto buona parte dell'umanità. E a peggiorare la situazione arriva la scoperta che le persone nel video sono modelli/attori/cantanti, tutte categorie a proprio agio davanti la telecamera.
Che vergogna, un'operazione disgustosa.
Eppure mi sembra che siano sempre esistiti degli spot emozionanti e nessuno se n'è mai lamentato perché erano "costruiti", perché non erano interpretati da gente comune, o perché facevano biecamente leva sui nostri sentimenti per vendere un prodotto.
Il motivo allora qual è, di non aver detto esplicitamente che è una pubblicità? Bè, meglio, non ci sono loghi spudorati quindi se uno non vuol lamentarsi a priori, finito il video nemmeno se ne accorge. E comunque se la gente sapesse leggere la descrizione dei video su Youtube sarebbe tutto più semplice, visto che c'era scritto.

C'è poi il ragionamento "sono modelli/attori/cantanti", quindi fingono. È infatti risaputo che sono professioni alla stregua della prostituta, perché pensare che effettivamente il video metta in scena quello che vediamo?
Possono forse questi esseri strani provare imbarazzo quando gli viene chiesto di baciare uno sconosciuto? "Figuriamoci, sono abituati a farlo per lavoro!". A parte che questo discorso può valere per gli attori (come un uomo fa notare negli uomini), un bacio in scena è diverso visto che ci sono dei ruoli e una storia dentro la quale vive un bacio, è diverso se è la persona a baciare e non il personaggio. Ma questo poco importa, sono "professionisti del bacio", pagati per baciare altra gente, quindi questo video non contiene nessun sentimento reale.
Anche se tutto fosse stato girato con un copione (ma dubito) il messaggio non cambierebbe visto che quello che compare nel video non cambia: diverse persone con diverse reazioni che lasciano trapelare diverse emozioni dell'essere umano. Se non fossero reali sarebbe grave? Al cinema non ci emozioniamo forse quando un attore interpreta un personaggio, anche se sappiamo non essere veramente lui? Se fosse tutto preparato a tavolino (ma ripeto, per me non è così) allora tanto di cappello visto che riescono a farcelo credere davvero bene.
L'unica colpa dell'ideatore del video è quello di aver scelto soggetti a proprio agio davanti alla telecamera, così da eliminare l'imbarazzo o il condizionamento dovuti alla presenza di un set e altre persone, concentrandoci sulla richiesta del bacio a uno sconosciuto.

Ovviamente, come ogni fenomeno sul web, a tempo di record sono spuntate un sacco di parodie, ma anche una risposta interessante: il portale VICE ha infatti realizzato il video che tutti volevano, facendo baciare dieci coppie di sconosciuti presi dalla strada, senza alcun fine pubblicitario.
Qual è il risultato? Persone che sono visibilmente influenzate nelle loro azioni dalla presenza di una telecamera e una troupe, contesto a cui non sono abituate.
Per assurdo il sito dichiara di aver pagato i protagonisti, quindi le alte velleità morali sono un po' incoerenti. Non ci sono vestiti da promuovere, ma di sicuro un esercizio di stile su un video virale di certo ha garantito un sacco di visite al sito.
Quindi dove sta la realtà e dove la finzione?
Persone comuni, persone "reali" che non riescono ad agire spontaneamente se osservati da una telecamera? O attori, persone "finte", che invece lasciano trasparire cosa farebbero comunque nel mondo esterno?


P.S. Ovviamente tutto il discorso del video-montatura non vale per le cose veramente importanti.
Queste cose non si fanno. Maledetti, mi avete illuso.

domenica 23 febbraio 2014

Autoironia For Dummies

Per molte persone l'autoironia è una bestia strana.
Non è facile comprendere perché qualcuno la usi, e metterla in pratica su di sé è quasi inaccettabile.

Ovunque regnano la ricerca della perfezione, il narcisismo, la presunzione, il desiderio di dimostrare di essere migliore degli altri.
Ecco quindi che chi sa ridere di se stesso, dei propri errori, delle proprie imperfezioni può essere visto come un debole, una vittima che tende a compatirsi e si piange addosso. Poverino, nella gara ad essere il più forte, il più bello, il più bravo, lui si è arreso.
In realtà non ha mai voluto partecipare: la stessa strada la percorre di fianco ai corridori, senza nessuna smania di arrivare primo.

C'è poi chi per ostentare umiltà finge di essere autoironico, ma in realtà si limita a indirizzarsi contro battute superficiali e generiche, senza mettere in luce quelli che considera suoi reali difetti. Solitamente è permaloso e se qualcuno prova a scherzare sulle stesse non la prende bene: certe cose se le può dire da solo, agli altri non è permesso.
È molto più divertente e gratificante commentare e giudicare il prossimo, sminuirlo così da sentirsi su piedistallo sempre più alto e avere l'approvazione del gregge.

Ma siamo esseri umani, non siamo perfetti, grazie al cielo. Non tutti i risultati scolastici o lavorativi sono un successo, non tutto ciò che diciamo è esatto, non tutti i legami che stringiamo con le persone sono idilliaci, non abbiamo una soluzione a tutto.
Siamo persone. Inadeguate. Inciampiamo, ma sappiamo rialzarsi. O perché no, restiamo a terra, chissenefrega. Al mattino appena svegli e prima di starnutire abbiamo facce imbarazzanti. Vestiti e capelli non sono sempre Diciamo cose inadeguate e facciamo errori. Non sappiamo fare qualcosa, lo ammettiamo, ma ci proviamo comunque.
Però siamo anche noi su questa giostra chiamata vita, e ci divertiamo. Noi autoironici siamo qui per ricordavelo.

venerdì 14 febbraio 2014

Il Funambolo VS Villaggi Turistici

Quando una decina d'anni fa ho cominciato a lavorare come educatore nei centri estivi e come animatore in piscine, feste di compleanno e manifestazioni pubbliche mi ripetevo una cosa: non lavorerò -mai- in un villaggio turistico.
Orari improbabili, paghe striminzite e condizioni di lavoro improbabili.
Ma solo gli stupidi non cambiano idea. Infatti negli ultimi anni ho visto amici e colleghi intraprendere questa strada e un po' alla volta ho ammorbidito il mio giudizio sull'ambiente. Cominciando a lavorare a tempo pieno nel mondo dello spettacolo, mi sono deciso a prendere in considerazione la possibilità di lavorare negli spettacoli dei villaggi turistici, sapendo che la cosa avrebbe incluso -anche- qualche mansione da animatore.


"Considerando il tuo curriculum artistico ti posizioneremmo nello staff degli show serali. Ma non pensare di avere del tempo per restare in camera, ovviamente lavoreresti anche come animatore per tutta la giornata."
Certo. Ovviamente uno svolge due professioni una di seguito all'altra, sia mai che uno possa riposarsi o dedicarsi ad altro.


"Per quanto riguarda il compenso, ti dico subito che vieni pagato molto meno di quanto tu lavorerai."
Ah, così, candidamente. Che carina.


"La paga è di *** al mese"
Mh. Che è quasi la metà di quanto guadagno facendo un lavoro identico per la metà delle ore al giorno e 5 giorni a settimana. Mi stai proprio convincendo a non lavorare più nei centri estivi.


"Questa però è la paga minima, considerando la tua esperienza sia artistica che in animazione, si potrebbe arrivare addirittura a *** o ***."
Ah, perfetto. Ho studiato e lavorato 10 anni nel settore, ma posso uscire a cena due volte in più al mese rispetto al diciottenne alla sua prima esperienza. Alla faccia tua, sbarbatello!


"Ma devi considerare che è come se ti pagassimo il doppio: infatti non dovrai più pensare all'affitto o comprarti da mangiare!"
Ora, al di là che ci sono modi più eleganti per dire la stessa cosa (tipo, vitto e alloggio sono compresi), cosa cavolo ne sapete voi di come vivo io?
E soprattutto, il fatto di dover lavorare lontano da tutto e tutti, non solo non la considerano una "difficoltà", ma è addirittura un vantaggio. Ti paghiamo per stare in un recinto dove penserai solo al lavoro, sii felice!


"Pensa, non devi nemmeno preoccuparti di pagare le telefonate, perché non avrai più il tempo di farle!"
Ahahahah... ah, no. Aspetta, è seria.
Me lo sta davvero dicendo come se fosse un valore aggiunto: tranquillo, lavorerai senza un briciolo di pausa, non avrai più una vita! Giubila!


"E poi, considera che è un lavoro divertente!"
No. Ora, senza tirare in ballo tutta la questione #CoglioneNo, non mi si può giustificare una paga più bassa col fatto che sia un -lavoro divertente- .
Questo deriva dal solito preconcetto che il lavoro debba essere tristo e noioso. Se uno col suo mestiere si diverte, dovrebbe sentirtsi in colpa nei confronti del mondo esterno che svolge professioni insoddisfacenti. Dietro lavori "divertenti" si nasconde comunque impegno, fatica, e un bagaglio di esperienza raccolto in anni e anni. E spesso mantenere quel sorriso in ogni condizione può richiedere più sacrificio di molti altri mestieri.
Io mi diverto E lavoro contemporaneamente, ogni giorno.
...che poi, far saltellare all'alba dei vecchietti incartapecoriti nell'acqua salata fino alle ginocchia, non rientra esattamente nel mio concetto di sballo.


"Ah, preparati a dormire poco. Molto poco. Per tanto tempo".
Me lo sta dicendo veramente? Cioè, ero preparato, so che succede, ma lo dicono tranquillamente, la privazione del sonno è compresa nel contratto e regolamentata. Chissà se nel pacchetto è inclusa anche la tortura della goccia o qualche altra violazione dei diritti umani.



Qual è la morale di questa storia? Non lavorerò -mai- in un villaggio turistico.
Sono il corrispettivo dei call center all'aria aperta.
Solo gli stupidi non cambiano idea, ma ogni tanto ci becco alla prima impressione.

mercoledì 29 gennaio 2014

Rat-Con, the one and only.

Ricordo ancora quando ho incontrato per caso Rat-Man. Il preciso momento, il luogo, i miei occhi che vedono l'immagine in copertina con quel bizzarro supereroe di fianco all'Uomo Ragno... ma sì, dai, lo prendo. Era un periodo in cui stavo cominciando ad esplorare il mondo dei fumetti, provando qualcosa di nuovo che uscisse dalla cerchia ristretta (ma non poi così tanto) di titoli che mi avevano accompagnatore tutta l'infanzia. Fu un colpo di fulmine, mi innamorai all'istante, una lettura divertente che valeva la pena proseguire.

Non mi sarei aspettato che, 17 anni dopo, avrei celebrato in pompa magna l'uscita del 100° numero del mio fumetto preferito, come parte attiva del suo fan club. Né avrei potuto pensare che quel fumetto avrebbe rappresentato la mia filosofia, sarebbe stato in grado di emozionarmi e commuovermi, mi avrebbe appassionato come pochi altri. Di sicuro non potevo prevedere che mi sarei iscritto al fan club, a forum dedicati, avrei scritto decine di articoli a riguardo, né che sarei comparso in versione fumetto tra le sue pagine. Mai avrei immaginato di conoscere personalmente l'autore, apprezzarlo come artista e come persona, mangiare gomito a gomito con lui in decine di trattoriate, parlarci del più e del meno, farmi accompagnare in macchina da lui, conoscere le figlie e condividere momenti felici come se fosse uno di famiglia.

E invece, dopo 17 anni di avventure, lo scorso 11 gennaio ho passato una giornata a Parma per festeggiare questo traguardo raggiunto da un piccolo grande uomo, col suo piccolo grande personaggio. Che nonostante tutto, nonostante non abbia superpoteri, continua ad andare avanti, grazie al suo talento nascosto.

Già che c'ero ho cercato di documentare la giornata in modo che ne restasse una traccia, nei secoli dei secoli, amen. Un reportage della conferenza stampa, un reportage dell'incontro coi fan, delle interviste a qualche lettore speciale e la recensione del meraviglioso numero 100.
Un tributo necessario, visto che in fondo se mi ritrovo a scrivere di fumetti a questo livello, è un po' anche colpa di Rat-Man. Forse anche più di un po'.

Rat-Man mi ha dimostrato che fare ridere è un cosa seria, se una cosa è "divertente" non significa che non possa puntare a picchi qualitativi che le "cose serie" si sognano. Rat-Man mi ha dimostrato che flettere i muscoli ed essere nel vuoto è un gesto che può dare risultati straordinari. Artisticamente, quando hai già raggiunto una comfort zone e tutti si aspettano qualcosa da te, si possono intraprendere nuove strade. Personalmente, quando vale la pena abbandonare delle certezze per vedere cosa c'è oltre l'orizzonte. 
Grazie Rat-Man, grazie Leo.

mercoledì 8 gennaio 2014

Il Colore del Grano

Durante gli ultimi mesi di accademia, speravo come tutti i miei compagni di superare un’audizione e magari essere preso in una grande produzione che sarebbe partita per una tournée nei principali teatri italiani. Se non si fosse mosso nulla, avrei avuto tanto tempo libero a disposizione che avrei sfruttato per sviluppare i vari progetti nel cassetto e, chissà, magari nel giro di qualche mese il primo avrebbe anche preso forma su un palcoscenico. Mai mi sarei immaginato di ritrovarmi impegnato su entrambi i fronti.


Negli ultimi 3 mesi, durante lo studio, le prove e le repliche di Scooby-doo e il Mistero della Piramide, è spuntato all’improvviso Il Piccolo Principe.
Ero lì, nel deserto, indaffarato ad aggiustare il mio aeroplano, e mi ha chiesto di disegnargli uno spettacolo. Si può dire di no al Piccolo Principe?
E così eccomi per la prima volta a organizzare seriamente uno spettacolo che potrà e dovrà essere distribuito al di fuori della cerchia ristretta in cui sono abituato a muovermi.
L’ho scritto, l’ho diretto, l’ho prodotto. Mi sono ritrovato a pensare ai costumi (qualcuno ha osato darmi dello “stilista”), a ideare e costruire scenografie, a fare shopping alla ricerca di vestiti e accessori... insomma, per una volta non ho messo piede sul palco.

Da anni mi sento ripetere che sarei portato anche per questi ruoli all'interno della macchina teatrale, e finalmente ho avuto l'occasione di mettermi alla prova, con un piccolo grande spettacolo in cui ho messo l'anima.
Il fato ha voluto che il giorno in cui il mio primo spettacolo è andato in scena io non potessi essere in platea, impegnato sul palcoscenico di un'altra città. Questo ovviamente mi ha fatto provare emozioni contrastanti durante la rappresentazione del Piccolo Principe, a decine di chilometri di distanza dal sottoscritto.
Ma sapere che le cose sono filate per il verso giusto, che i bambini spalancavano le bocche dallo stupore, che una mia idea è riuscita a prendere forma nonostante gli ostacoli, i miei pensieri strambi da realizzare, i tempi stretti... Bè, sono felice.
Ora si comincia a lavorare con più calma per smussare gli angoli e proporlo in giro, perché il Piccolo Principe è curioso e vuole visitare più pianeti possibili.
Ed è incredibile (o forse no) quanto un piccolo progetto personale come questo possa darmi la stessa soddisfazione di calcare i più grandi teatri italiani con un altro spettacolo...

Mentre intorno a me continuo a vedere altre mentalità, sicuramente più facili e più remunerative, io rimango sulla strada del maggior sacrificio per perseguire una maggior qualità.
Ho appena cominciato questo mio cammino da idealista, sulla lunga distanza capirò se l'entusiasmo e la tenacia mi aiuteranno ad arrivare alla meta, senza prendere scorciatoie.