sabato 21 giugno 2014

L'Arte del Cappello

Artisti in Piazza è il miglior festival di teatro di strada che esista in Italia.
Per numero d'artisti invitati da tutto il mondo, per la varietà e la qualità media degli spettacoli, per la location incantevole, non c'è manifestazione di questo tipo nel nostro Paese che possa competere con quanto avviene a inizio a giugno a Pennabilli, sull'Appennino al confine tra la Romagna e le Marche.

Da qualche anno ho sofferto per l'impossibilità a presenziare a questo festival, sia come artista che come spettatore, perché quello che si crea per un week-end in questo piccolo borgo è quasi magia. Piazze, strade, teatri, vicoli, parchi, angoli di vie e sottoscala, ogni spazio trasuda spettacoli di ogni tipo. Si incontrano acrobati, clown, attori, musicisti, cantanti, mimi, e artisti che non hanno nemmeno un nome preciso per descrivere ciò che fanno; c'è gente che viene dal paesino romagnolo adiacente e gruppi che vengono dal Giappone, dalla Tasmania, credo che manchi all'appello solamente qualcuno da Giove.
E così in una sola giornata ti capita di vedere tanta arte quanto fatichi a vederne in un mese nel mondo esterno, anche impegnandosi. Torni a casa con tanti sorrisi e una mente più aperta, spalancata da tanti mondi sconosciuti di cui nemmeno potevi immaginare l'esistenza.

Partito come spettatore, mi sono ritrovato a sorpresa a vivermi 2 giornate da artista, per fare una sostituzione in un gruppo di amici. E anche se mi sono perso qualche spettacolo da vedere, ho avuto tanto perché avevo dimenticato quando possa dare il pubblico di Pennabilli.
L'Arte di Strada è quasi il contrario del normale circuito artistico: se per la maggior parte degli spettacoli fatichi a convincere le persone a venire a vedere il tuo spettacolo/concerto/performance, ma una volta che ci sei riuscito le hai catturate e restano lì dall'inizio alla fine, in strada è più facile che qualcuno si fermi, ma devi riuscire a convincerli che vale la pena rimanere a guardarti per mezz'ora o un'ora, perché alzarsi e andarsene è più semplice quando non hai quattro pareti intorno e non hai il vincolo psicologico di aver pagato un biglietto.
Pennabilli da questo punto di vista è strana, dato che mezz'ora prima di iniziare il tuo spettacolo arrivi nella postazione e ci sono già decine di persone pronte ad aspettare l'inizio. C'è però da dire che la concorrenza è più forte, bisogna continuamente innalzare l'asticella per catturare il pubblico senza fargli pensare che forse farebbe meglio a vedere pochi metri più in là il francese che cammina in equilibrio sui colli di bottiglia o lo svizzero che fa hula-hoop su un palo a 10 metri di altezza.
E se la gente rimane a guardare te, dopo aver visto che mostri sacri si esibiscono in contemporanea, quelle platee un po' ti galvanizzano.
Si tratta inoltre di un pubblico consapevole, te ne rendi conto al momento del cappello, tortura che nella maggior parte delle situazioni è un momento d'imbarazzo in cui gli spettatori riluttanti mettono qualche moneta a fine spettacolo per non fare brutta figura. A Pennabilli no, le persone si alzano a fiumi e ti dimostrano di riconoscere la tua professione, se devono andarsene a metà spettacolo lasciano comunque qualcosa nel cappello prima di allontanarsi; valorizzano la tua attività, capiscono che è quello che fai per vivere, e il gesto di lasciare qualche soldo è il loro voler finanziare la bellezza nel mondo, chi fa buona arte deve mangiare per poter continuare a farla, e ognuno di loro vuole che tu artista continui a diffondere per le strade ciò che fai.

Un concetto tanto ostico nella vita di tutti i giorni.
Perché in fondo noi siamo artisti, noi non lavoriamo per i soldi.
Lavoriamo per l'arte, creiamo spettacoli e le mele fioriscono nei nostri giardini, le bollette si autoestinguono, i nostri figli saranno magri e si morderanno l'un l'altro per la fame, ma saranno felici perché tanto si nutriranno della bellezza dell'arte.

martedì 3 giugno 2014

Fuga ad Alcatraz

Me ne vado per una settimana alla Libera Università di Alcatraz, per un corso di teatro tenuto da Dario Fo e Jacopo Fo.
Così, non avevo mai incontrato un premio Nobel e mi era venuta la curiosità di vedere com'è fatto dal vivo, se emette una luce particolare, se toccandolo guarisci dalle malattie o altre robe così.
Per ora non ho nemmeno incontrato un unicorno, ma ci sto lavorando.

Devo cominciare dalla descrizione di cosa sia Alcatraz, perché senza esserci stati è difficile immaginarlo. Anche con le parole e le fotografie si può capire solo in parte l'aria che si respira in quel paradiso, ma ci si prova, dai.
Arrivo in questo villaggio in mezzo ai boschi umbri. Dimenticatevi cellulari o portatili per connettervi a Internet, o voi che entrate ad Alcatraz, tanto sono utili più o meno quanto uno sbattiuova se vi trovate in mezzo a un tornado. Una manciata di bungalow dipinti con colori vivaci, casette di mattoni o torri dove riposare, se qualcuno ne avesse la voglia e il tempo.
Qua e là sbucano gigantesche teste di pietra, ippopotami pittati, variopinte statue tra gli alberi e altro ancora, in un vero e proprio museo a cielo aperto. Certo, un po' inquietante se cercando di tornare in stanza la prima notte, quando non conosci la strada e tutto è buio, vaghi con la torcia del cellulare come unica luce e scorgi tra i tronchi sagome di gente che corre (ma la mattina dopo scopri che sono fatte di filo di ferro) oppure un enorme drago con la bocca spalancata che compare all'improvviso di fianco a te grazie a un simpatico faro con un sensore che si attiva al tuo passaggio. Manderò alla segreteria la parcella del mio cardiologo.
Mi sono dato all'esplorazione dei boschi umbri, scoprendo che tutto il circondario è pieno di opere d'arte disseminate per sorprendere il curioso esploratore: manufatti appesi agli alberi, strani totem in mezzo a spiazzi d'erba, colorate decorazione sul bordo di piccoli corsi d'acqua.
Ho stretto amicizia con Ciccobaffo, gattone VIP (lo trovate tra i personaggi dell'ultimo romanzo di Stefano Benni) che si aggirava senza problemi in mezzo a una scatenata orda di teatranti, dorme in posizioni improbabili e che per l'intera durata del mio soggiorno ha deciso fosse cosa buona e giusta accoccolarsi su di me e farsi le unghie sulla mia pelle. O meglio, dentro.
Il cibo, proposto sotto forma di ricchi buffet senza limite alcuno, è sempre diverso ad ogni pasto e un vero toccasana: ho mangiato patate fritte e panzerotti fritti che sapevano di sano più di molti prodotti salutari (ciao!) che ci propinano in città.
La notte, camminando solo sul silenzioso sentiero che mi riporta al bungalow alzo il naso al cielo e mi faccio una doccia di stelle, specie ormai in via d'estinzione. Una lepre esce dai cespugli, si avvicina e mi annusa un piede (poraccia), poi si allontana zompettando dopo aver deciso di risparmiarmi la vita.

Che dire sul corso?
Dario Fo è un artista incredibile, un giullare in grado di trasmettere veri e propri tesori agli aspiranti attori, un container pieno di storie, che nonostante l'età ha occhi da bambino e in un attimo è in grado di accendersi e alzarsi dalla sedia, trasformandosi in un giovane Fo che recita sul palco frammenti dai suoi spettacoli che colleziona nella sua mente da tutta la vita... Ah, se potessi arrivare a 50 anni con l'energia che ha lui.
Jacopo Fo è altrettanto folle, lo conoscevo meno ma mi ha trasmesso altrettanto: carburante per il mio ottimismo, un interessante approccio per promuoversi, una divertente visione della vita, ma soprattuto la scoperta che esiste qualcuno che lavora su 10 libri contemporaneamente... la cosa mi tranquillizza, la mia incostanza iper-produttiva non è sola nell'universo.
Oltre ai Fo, abbiamo potuto sperimentare tante attività alcatraziane, che in qualche modo possono essere ricondotte al teatro: tai chi cuan, watsu, canto, danza del ventre, tarocchi, scatena-rilassamenti  musicali e altro ancora... Non so bene distinguere cosa mi abbia insegnato qualcosa, credo che ogni singolo mattone e pianta abbia in qualche modo contribuito a trasmettermi tanto; fare un percorso formativo simile in un luogo immerso nella natura, mangiando bene e circondato da sorrisi, aiuta ad assorbire e creare.
Tra le esperienze provate, le persone incontrate e gli aneddoti ascoltati in questa esperienza, La mia mente è stata innaffiata da così tanti input che in una settimana mi sono nate idee per dare vita a tre spettacoli e due corsi di teatro. Tutta roba che finisce nel baule (il cassetto ormai non bastava più) con i numerosi progetti che riuscirò di certo a realizzerare prima di morire a 147 anni, resta solo da vedere a cosa darò la priorità, pescando nel mucchio.