giovedì 26 aprile 2012

Avengnerd uniti!

Nel 2000 esce al cinema "X-Men", il primo film di supereroi della nuova generazione, tratto da un fumetto Marvel con l'intenzione di fare un prodotto destinato al grande pubblico; avevo 15 anni.
Nel 2010 esce "Iron Man 2", primo passo della creazione di una continuity cinematografica intenzionata a riprodurre una parte di quei legami presenti tra le varie testate di supereroi Marvel; avevo 25 anni.
In questi giorni è arrivato sul grande schermo "The Avengers".
L'Evento. IL Cross-over. Il party che coinvolge personaggi che hanno scorazzato liberamente nelle proprie personali pellicole e ora si ritrovano tutti assieme per lasciare tutti a bocca aperta.
È come se negli anni '80 qualche genio fosse riuscito a fare un team-up tra Indiana Jones, Rambo, Terminator, Marty McFly, Crocodile Dundee e Slimer, tutti impegnati a combattere contro Darth Vader.

Il nerd che è (era?) in me avrebbe dovuto emettere entusiasmo da tutti i pori per mesi, alla vista di un prodotto simile.
Ma -purtroppo- non è così.
Non perché il film non meriti, Whedon riesce a confezionare un prodotto in grado di soddisfare il palato degli appassionati di supereroi, gestendo le dinamiche di gruppo secondo le mie aspettative, regalandoci un Signor Combattimento Finale, e tanta ironia spruzzata lungo tutta la pellicola.
Però.
Però mi sa che non faccio più parte del target di riferimento di questi prodotti.
O meglio, ne faccio ancora parte e credò andrò a vita a vedere i cine-comics, ma più per apprezzamento parallelo che per effettiva esaltazione duratura.
Perché mentre in giro per i forum e per i blog leggo commenti che elevano questo film a capolavoro assoluto, a miglior film di supereroi di sempre, a "nuovo Guerre Stellari/Matrix/Lord of the Rings" nella scala di valore nerd, io lo trovo "solo" un BEL film.
Un film buono nel complesso, con un gran finale stra-esaltante.

Il problema è che mi conosco (o meglio, mi conoscevo) e so benissimo che fino a un paio d'anni fa sarebbe bastato l'assistere a questo cross-over live action per esaltarmi come sta avvenendo in giro per il globo.
Ora invece lo valuto in modo più oggettivo, con un occhio critico sensato.
E un nerd non è mai oggettivo, ulula dalla gioia ed è pronto a promuovere a pieni voti un film anche solo per una citazione da un fumetto o per una scena azzeccata. Il nerd stronca un capolavoro perchè il costume del protagonista è di un colore con la sfumatura troppo chiara.
E invece no, eccomi qui a valutare "The Avengers" come se fosse un qualunque altro film.
Dopo due giorni quasi non ci penso più, una manciata di anni fa sarebbe stato il fulcro della mia vita almeno per un mesetto. Sigh.

Già che ci sono a parlarne, butto giù qualche giudizio.
Il miglior Hulk di sempre.
Scarlett Johnasson fuori luogo come mai prima d'ora nella sua carriera.
Almeno 4 momenti da ovazione risata sguaiata+applauso in sala.
Mini-prologhini di ogni personaggio lunghi e noiosi, tanto chi si vede The Avengers i film precedenti li ha visti. E se non l'ha fatto, non si merita di vedere The Avengers.
La sceneggiatura ce la mette tutta per far scontrare a random tutti i supereroi uno contro l'altro, neache fosse il film di Street Fighter.
A me non frega niente di vedere Iron Man e Capitan America fare i meccanici per 20 minuti, sarebbe stata meglio una bella rissa.
3D inutile, ma vabbè, lo si sapeva.
L'ho già detto? Combattimento finale epico ed esaltante. Non il migliore di sempre (Spiderman 2 e Scott Pilgrim mi stanno guardando storto) ma davvero meraviglioso.
Ah, il cliffhanger post-credits non mi tange nemmeno. Anzi, un po' mi irrita il pensiero che i nuovi Marvel Movies andranno in quella direzione, a me non è mai piaciuta quella branca della produzione Marvel.

mercoledì 18 aprile 2012

Once Upon a Nerd

Steve Urquel è nettamente superiore al suo alter-ego sciccoso Stefan Urquelle.
È innegabile.
Ma ahimè, la trasformazione è in atto e a malincuore mi sto allontanando da quello che è sempre stato il mio modello di vita.
Anni e anni di onorata carriera in mezzo a film, telefilm, serie animate, fumetti e videogiochi stanno per svanire, per inseguire l'altra mia grande passione.
Non la foca, come penseranno i miei lettori più simpatici, bensì il teatro.
Tra spettacoli, prove, lezioni in accademia, e la testa cheè costantemente in quel mondo, sto trascurando il mio habitat naturale. Un po' per dis-entusiasmo, un po' per mancanza di tempo.

Mi è capitato di comprare un numero di Rat-Man 2 settimane dopo la sua uscita in edicola, leggendolo 2 settimane dopo che se ne stava lì, in attesa sul mio comodino.

Leo Ortolani è venuto ospite in una fumetteria bolognese, e il giorno dell'evento io ME NE SONO DIMENTICATO.

All'ultima edizione del Future Film Festival, ho visto solamente 5 proiezioni.

Ho letto "Habibi", la nuova graphic-novel di Craig Thompson (autore di "Blankets", uno dei miei fumetti preferiti in assoluto), solo ora. Quasi sei mesi dopo la sua pubblicazione italiana.

Tra una settimana uscirà al cinema "The Avengers".
Lo sto aspettando con impazienza, ma qualche anno fa per un film simile avrei scalpitato come nessun'altra cosa al mondo riuscirebbe a farmi fare.
Ho deciso di dargli una possibilità e credo proprio che me lo andrò a vedere al Day One.
Come dovrebbe fare un vero nerd.
Con addosso una T-Shirt Marvel.
Proverò a immedesimarmi nel nerd che ero.
Forse riuscirà a riaccendere la Fiamma della nerditudine.
O forse sarà l'ultimo Grande Evento della mia esistenza nerd.

domenica 8 aprile 2012

Parigi è.

Parigi non è una città.
Parigi è un cielo grigio, con un'aria fredda in grado di entrarti dentro fino alle ossa.
Parigi è una stradina in salita, dove un romantico appassionato di cinema ha disegnato frecce con i gessetti colorati.
Parigi è una piazzetta ricolma di artisti di strada pronti a prendere in prestito 5 minuti della tua vita, dandoti in cambio un ritratto, una caricatura o una silhouette in grado di farti vedere sotto un altro punto di vista.
Parigi è un largo viale alberato, così largo da poter contenere il più grande dei sorrisi.
Parigi è un enorme prato verde, perfetto per tentare improbabili acrobazie.
Parigi è un basco rosso che spicca in mezzo alla folla.
Parigi è un castello delle fiabe che prende vita grazie a immagini, fontane, fiamme e fuochi d'artificio.
Parigi è un barbone che decide di mostrarti la luna piena, abbassandosi le mutande sui gradini della metro per grattarsi il fondoschiena.
Parigi è una baguette morbida e appena sfornata da mangiare camminando sul marciapiede.
Parigi è una storia d'amore lunga quanto la durata di un sorriso ricambiato con la commessa di un negozio d'abbigliamento.
Parigi è il vivace mosaico all'interno di una scura grande cattedrale gotica.
Parigi è un'angusta libreria colma di vecchi volumi che riempiono anche gli spazi più piccoli.
Parigi è cantare "La vie en rose" inventando le parole mentre si passeggia sul bordo della Senna, col riflesso della Torre Eiffel illuminata che si specchia sull'acqua.
Parigi è uno stile fatto da vestiti e scarpe che in giro per il mondo sono considerati alta moda, ma dopo alcuni giorni si rivelano tutti uguali.
Parigi è il materasso di marmo di un ostello a Montmartre.
Parigi è un duo formato da sax e clarinetto, apparso all'improvviso per ravvivare un viaggio in metropolitana.
Parigi è un elefante rosa gigante.
Parigi è un bistrot appartato, dove attorno a un tavolo di legno ti viene concessa l'intimità per goderti un silenzio e la voglia di riposare.

Parigi non è una città, Parigi è il riflesso di quello che non sei.

domenica 1 aprile 2012

La Forza di Uno

Il telefilm adolescenziale in cui si è trasformata la mia vita da qualche mese a questa parte, può vantare fasi in cui molti membri del cast attraversano situazioni simili o problemi riguardanti più o meno lo stesso argomento; questo si rivelerà di sicuro un grande vantaggio nella scrittura del mio libro, garantendo la stesura di capitoli coerenti e con una tematica precisa nei singoli capitoli.
Negli ultimi giorni il filo conduttore sono state chiacchierate con 7-8 persone diverse riguardo a una posizione di cui sono un forte difensore, ovvero che l'essere single non è una sfiga, un evento luttuoso o una malattia grave.
Dato che il destino ultimamente collabora col sottoscritto inviandomi al momento giusto colonne sonore e citazioni adatte ad accompagnare ogni mia disavventura, ecco che con il solito tempismo oggi sono inciampato in un'intervista che riesce a spiegare le mie idee molto meglio di quanto non riesca a fare io.
E a sorpresa il soggetto intervistato è tutt'altro che un guru o una persona che stimo, ma solamente Sharon Stone, attrice la cui carriera può essere riassunta in uno scavallamento di gambe senza mutande e nella cattiva di "Catwoman", uno dei peggiori villain della storia del cinema. Ma evidentemente qualcosa di intelligente dentro quella testolina c'è, sentite qui:

"Affrontare la vita da sola può essere un privilegio, ma costa molta fatica. Anche ad Hollywood e dintorni quando ti presenti alle cene di gala senza qualcuno al fianco, ti guardano strana. Devi per forza essere di qualcuno e di qualcosa, avere un cartellino, rientrare in uno schema. Nessuno ti incoraggia ad osare, preferiscono metterti paura, invitarti alla prudenza. Il consiglio è sempre quello: non restare sola, accontentati, stai con una persona, anche se non la ami, anche se c'è poco che vi unisce. Tutti sono spaventati dall'idea di stare da soli, di bastarsi. Quasi l'autosufficienza fosse un pericolo, un alzare troppo la testa. Come la libertà. E soprattutto uno schiaffo a chi accetta i compromessi, a chi sopporta e si accontenta di una compagnia mediocre, invece di cercare per sé qualità.
C'è un film che mi disturba, dove Tom Cruise davanti ad una porta di ascensore dice a lei: "Tu mi completi". Cruise meriterebbe un bel calcio e non un sorriso di riconoscenza. Qualcuno gli avrebbe dovuto rispondere: io sono già completa, non ho bisogno di aspettare te.
Sbaglia chi scambia l'amore per possesso, chi non si aspetta dal partner originalità, ma solo di essere l'altro 50 per cento, come se il destino di un'unione sia quello di fare la parte mancante. È una cosa pericolosissima. Perché quando quella parte se ne va, svanisce, vuole altro, magari ambisce ad essere tutto, ecco che l'altra persona si sente persa, sminuita, incompleta, incapace di riempire i suoi momenti con pienezza. E allora cosa fa? Non permette all'altro di staccarsi, mette in atto reazioni violente, rifiuta di tornare ad essere metà. È un procedimento mentale malato, anzi tragico, per questo dico: rifiutatevi di essere il complemento di un'altra vita. Non c'è aggressività da parte mia, solo passione per l'indipendenza.".