Spring Awakening. Cinque repliche e mezza (più avanti spiegherò "la mezza") di grande soddisfazione.
Un mese e mezzo di lavoro culminato nel migliore dei modi.
Una
cornice meravigliosa, calda e luminosa di pomeriggio quando la storia
prendeva vita di pomeriggio, fresca e magica di sera con i fantastici
giochi di luce.
Il tutto con gli effetti speciali della natura,
che ci ha gentilmente offerto alberi, ombre, folate di vento e cadute di
petali/foglie al momento giusto meglio di quanto avrebbe potuto fare
qualunque programma di computer grafica.
Una band dal vivo in
grado di infondere un'energia immensa, con cui scambiare anche qualche
risata tra un cambio di microfono e l'altro.
Salire sul palco e sentire l'energia giusta.
Trovare e capire a fondo personaggi che ero convinto di conoscere già.
Immergersi
a 360° nella tristezza e nello schifo della razza umana: arroganza,
prepotenza, violenza, orgoglio, abbandono, sconfitta, egoismo,
ipocrisia, perdita. Andare in scena e a fine replica sentire il
desiderio di fare una bella doccia emotiva, di quelle che mi fanno
tornare la fiducia nell'umanità che ho sempre avuto.
Lasciare
Spring Awakening con taaanta soddisfazione per aver raggiunto un buon
risultato al di fuori della mia zona di comodità, e dimostrare che non
so solo far ridere il pubblico. E strappare più di una lacrima in
platea.
Complimenti, molti complimenti, enormi complimenti. Anche a
me, ma allo spettacolo tutto, giudicato da molte persone del settore
come uno dei migliori visti negli ultimi mesi, paragonato
qualitativamente addirittura ai successi di West End.
Uno spettacolo che mi ha fatto crescere un bel po', forse più di quanto si sia visto dall'esterno.
Uno
spettacolo che mi ha riavvicinato al mio "lato oscuro", scoprendo che
può benissimo convivere con l'allegro folletto dei boschi senza per
questo diventare una persona che non mi piace.
E prima di potersene accorgere, arriva la sera dell'ultima replica.
L'adrenalina per il gran finale sale, purtroppo funestata da scuri nuvoloni. E dalle prime gocce che precipitano dal cielo.
Lo
sconforto inizia a serpeggiare, l'ora dello spettacolo si avvicina, il
pubblico arriva ma con dubbio, tra gli addetti ai lavori non si sa se la
replica si farà o meno.
Io, forte del mio ottimismo donchisciottesco, inizio a indossare il costume, mi trucco, mi parrucco, preparo i miei oggetti di scena, mentre tutti gli altri sconsolati fanno le borse pronti per andare a casa.
Ma no, non esiste, smetterà di piovere, ripeto. E nel frattempo inizio
anche a pensare a soluzioni alternative per andare in scena.
Quel briciolo di positività che c'è nell'aria si concretizza in
canti e balli sul palcoscenico per far smettere di piovere, sotto gli
occhi di un pubblico (o aspirante tale) divertito.
Ma niente, pioggia.
Si aspetta ancora un po', per vedere se spiove, ma l'ora prevista per l'inizio è già passata da mezz'ora.
Ed
ecco la ferale notizia, convocati dietro le quinte: per non rischiare
un corto circuito con l'impianto luci e audio, non si può andare in
scena.
Intanto, fuori, il pubblico resiste, in maniera commovente,
seduto sotto la pioggia, in attesa di quello spettacolo che chissà se
comincerà.
Per non mandarli a casa del tutto insoddisfatti, proponiamo di uscire e,
al buio e in versione unplugged, poter eseguire almeno il brano corale
conclusivo. Si fa. La pianista non si ferma e attacca con un'altra
canzone. E un'altra. E un'altra ancora. Un concerto improvvisato
permeato da una malinconia mista a rabbia, ma anche tanta volontà di
emozionare quelle persone che per vederci hanno resistito in quella
situazione improbabile.
E nel frattempo il cielo si apre.
Perchè non fare allora tutto lo spettacolo in questa condizione light?
I piani alti parlano, discutono, riflettono, io aizzo il pubblico a
chiedere Spring Awakening a gran voce, e alla fine il responso: si fa.
Pronti, via! Si spazza il palcoscenico dall'acqua accumulata, i più scettici vanno finalmente a indossare il loro costume, e si comincia illuminati solo da due fari in lontananza.
L'energia è tanta, forse più di tutte le altre repliche, nonostante la
povertà visiva e gli aggiustamenti inventati sul momento per evitare di
scivolare rovinosamente a terra. Ma almeno uno spettacolo c'è, si sta
facendo, stiamo emozionando le persone davanti ai nostri occhi.
Poi, ricomincia a piovere.
Inizia
a serpeggiare lo spettro dell'interruzione, ma noi andiamo avanti,
cerchiamo di non pensarci, si prosegue, sempre e comunque... fino
all'interruzione.
Di quest'ultima serata mi rimarrà sempre il ricordo della tenacia
dimostrata, dell'entusiasmo della compagnia, dell'affetto dimostrato dal
pubblico... e si rafforza la mia convinzione che pensando positivo e
non arrendendosi qualcosa si ottiene sempre.
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